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Origini della teoria dell’interdipendenza economica


La teoria dell’equilibrio di potenza e dell’egemonia sono compatibili con la tradizione realista. La principale teoria sugli effetti dell’interdipendenza economica sulla politica internazionale è invece ascrivibile a un’altra tradizione del pensiero internazionalista, quella liberale ed emerge da una critica dei principali assunti del realismo.
Al contrario dei realisti, lo stato non è visto come l’unico attore rilevante sulla scena internazionale. Lo stato è visto come uno dei vari livelli ai quali è possibile aggregare le preferenze degli individui. Ci sono quindi altri soggetti di cui bisogna tener conto quando si analizzano le relazioni internazionali e lo stato è visto come un agente che opera per conto di altri principali. Alcuni di questi si trovano ad un livello più grande dello stato come le organizzazioni internazionali. Alcuni sono di livello transnazionale, come le multinazionali o le grandi chiese religiose. Altri sono a un livello di analisi subnazionale e rendono necessario prendere in considerazione anche variabili di politica interna  per la spiegazione di politica estera.
Trovano quindi spazio vari tipi di configurazione dei rapporti tra società e stato sia per quanto riguarda le questioni economiche sia per quelle politiche.
Al contrario, per i realisti, ogni tipo di stato tende a comportarsi nello stesso modo a prescindere dalle sue caratteristiche particolari con una netta separazione tra politica interna ed estera.
L’immagine liberale della politica internazionale è più complessa, ed entità internazionali, transnazionali e subnazionali stabiliscono una fitta rete di relazioni a ragnatela che influiscono sugli esiti politici.
In secondo luogo, l’ambiente in cui operano questi diversi tipi di attori non è sempre lo stesso tipo di anarchia. Dal momento che le caratteristiche interne degli stati sono viste come rilevanti, anche i rapporti tra gli stati saranno influenzati da queste caratteristiche. L’anarchia internazionale non è quindi omogenea nel tempo e nello spazio come per i realisti, e potrà essere più o meno vincolante e con effetti conflittuali a seconda delle circostanze. Le relazioni tra le democrazie saranno diverse dalle relazioni tra stati che hanno regimi politici diversi.
In terzo luogo le relazioni tra stati non sono necessariamente dominate solo da considerazioni che riguardano la sicurezza. Al contrario di un mondo realista in cui ogni stato è sospettoso di tutti gli altri, la cooperazione è possibile e una condizione di relativa pace conseguibile permettendo agli attori di concentrarsi su altri obbiettivi. Uno dei principali è il conseguimento è il conseguimento di una maggior ricchezza economica.
Le questioni economiche hanno preminenza nell’analisi liberale mentre i realisti considerano questi argomenti come subordinati alle necessità della sopravvivenza di fronte all’incertezza dell’anarchia.
Le prime versioni del liberismo internazionalista adottavano una visione idealista e utopica che immaginava possibile sublimare i dilemmi dell’anarchia e basare l’intero sistema internazionale su un’armonia degli interessi e una pacifica interdipendenza tra stati. La seconda guerra mondiale e la guerra fredda hanno screditato questi approcci e negli anni 70 è riemersa una scuola neoliberale. Questa adottava una visione più articolata di interdipendenza complessa secondo la quale nello stesso sistema internazionale potevano convivere sia relazioni conflittuali tra avversari che relazioni cooperative tra stati che non percepivano un conflitto come imminente tra i quali le considerazioni di sicurezza sarebbero meno importanti e sarebbe quindi possibile concentrarsi tra rapporti economici.
Mentre i realisti sono scettici sulla possibilità di un cambiamento che consenta di ridurre i sospetti reciproci tra stati e le possibilità di un conflitto armato, i liberali credono nella possibilità del progresso e di un percorso storico di incrementale miglioramento capace di trasformare le relazioni internazionali e di allontanare lo spettro della guerra. Invece di un ciclo di alternanza tra guerre e paci provvisorie, si immagina una direzione progressiva dell’evoluzione storica, da una condizione passata di instabilità a una futura pace che renda obsoleto l’uso della violenza.

Tratto da RELAZIONI INTERNAZIONALI di Filippo Amelotti
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