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Equilibrio di potenza


La definizione di equilibrio di potenza si riferisce a una situazione nella quale nessun attore, da solo o tra ite alleanza può dominare tutti gli altri. Questa situazione richiede 2 condizioni:
1. non è necessario che i vari attori siano dotati di uguali risorse ma è necessario che la distribuzione di potenza sia diffusa in modo che l’attore più forte non sia in grado di sconfiggere tutti gli altri insieme.
2. una distribuzione diffusa della potenza non è sufficiente perché ci sia equilibrio. Il comportamento degli attori deve veder prevalere la prevalenza per una politica del bilanciamento piuttosto che dello squilibrio. Gli attori devono allearsi con il più debole contro il più forte (balancing) e non viceversa (bandwagoning)

gli effetti della condizione di equilibrio sono 3:
1. il sistema internazionale rimane plurale e non nascono egemonie forti da dominarlo.
2. gli attori principali tendono a sopravvivere anche quando sono piccoli e meno potenti perché in questo caso faranno meno fatica a trovare alleati.
3. ci saranno meno guerre perché se nessuno può dominare gli altri si genera una situazione di mutua deterrenza.

Nell’ambito del realismo ci sono 2 punti di vista sul funzionamento dell’equilibrio: da un alato c’è chi ritiene che l’equilibrio emerga volontariamente come frutto di esplicite scelte da parte delle principali potenze. Caratterizza il realismo classico. Studiosi come Morgentau e Kissinger hanno predicato l’equilibrio di potenza come guida per gli statisti e come principio di prudenza nella condotta della politica estera. Un esempio di una teoria dell’equilibrio di stampo volontari sta è quella di Kaplan che afferma come siano necessarie sei regole per il funzionamento di un meccanismo di equilibrio, a loro volta riassumibili in 3 principi. Primo gli stati dovrebbero aumentare le proprie capacità se possibile in modo pacifico, con la forza se necessario. Secondo gli stati dovrebbero opporsi a ogni stato o coalizione che cerchi di assumere una posizione di dominio sul sistema o che leda all’indipendenza degli stati. Terzo gli stati in guerra dovrebbero fermarsi prima die liminare lo stato avversario e dovrebbero permettere agli stati sconfitti di essere reintegrati nel sistema. Un discorso a parte per la posizione della scuola inglese ispirata dal pensiero di Wighr e Bull collocata in una posizione intermedia tra realismo e liberalismo. Per loro l’anarchia non è necessariamente un’anomia nel senso dei uno stato di natura Hobbesiano privo di regole. Tali regole consentirebbero il mantenimento dell’ordine internazionale e il perseguimento di minimi obiettivi primari come l’indipendenza degli stati e della società internazionale. L’equilibrio di potenza non è solo quindi l’espressione della politica estera degli stati ma una norma di condotta propria della società degli stati che conformandosi ai suoi precetti garantiscono la stabilità internazionale.
dall’altro, il neorealismo (o realismo strutturale), suggerisce che invece l’equilibrio tenda a verificarsi spontaneamente a causa di logiche sistemiche che prescindono dalla volontà degli stati; è quindi un effetto non intenzionale derivante dalla volontà degli stati di accumulare ricchezza che permea tutta la politica internazionale. Questa teoria sistemica è la più influente. Il fondatore del realismo strutturale, Walts ha sostenuto che il sistema internazionale è composto dalle unità (stati) e dalla struttura nella quale esse operano. A sua volta ogni struttura politica è composta da tre elementi: il principi ordinatore (anarchico o gerarchico), la differenziazione funzionale tra le unità, la distribuzione delle capacità tra le unità. Dato che il principio ordinatore è anarchico, non c’è differenziazione funzionale perché tutti gli stati devono pensare da soli alla propria sicurezza e l’unica variabile è la distribuzione di potenza. Le variazioni di dotazione di risorse tra gli stati sono bilanciate da una naturale tendenza all’equilibrio. Il principio del self-help induce gli stati a schierarsi con i più deboli contro il più forte (balancing). Se si schierassero con il più forte si troverebbero alla mercè dello stato che ha maggiori capacità di minacciare la loro sicurezza; inoltre sarebbero poi costretti ad affrontare uno stato espansionista e rafforzato dalle ultime conquiste. Alleandosi con il più debole uno stato massimizza la propria influenza perché il più debole ha più bisogno di alleati e sarà disposto a maggiori concessioni. I neorealisti considerano riduzioniste le precedenti teorie e ritengono il proprio punto di vista sistemico in quanto dipendente dalla natura anarchica delle interazioni tra le unità a prescindere dalle intenzioni. Se il sistema è anarchico la tendenza all’equilibrio si verifica comunque perché unità differenti sottoposte allo stesso stimolo sistemico tendono al medesimo comportamento. Tanto più forte è lo shock esogeno che minaccia l’equilibrio, tanto più forti saranno gli incentivi a contrastarlo.

Aspettative opposte alla teoria dell’equilibrio sono quelle della teoria del domino che si basa sulla prevalenza del badwagoning e prevede che anche un piccolo spostamento nella distribuzione di potenza scateni ulteriori cambiamenti dello stesso segno che si riverberano sull’intero sistema. Con un processo simile al domino il cambiamento iniziale viene amplificato sino ad essere in grado di trasformare il sistema stesso.

Tratto da RELAZIONI INTERNAZIONALI di Filippo Amelotti
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