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La terza fase della strategia politica di Filippo II: l’imperialismo attivo


L’afflusso massiccio di metalli preziosi dalle americhe, la crisi della potenza ottomana, lo spostamento del baricentro internazionale verso l’Atlantico, inducevano il sovrano a una politica di intervento attivo rivolta a progetti espansionistici prima verso le aree più vicine, poi verso la stessa Inghilterra e Francia.
PORTOGALLO: il re del Portogallo, Sebastiano di Braganza nel 1578 si impegnava in una spedizione contro il potente sultanato del Marocco ma la potenza militare portoghese era fragile. Sebastiano fu sconfitto e morì in battaglia. Non aveva successori. Filippo II aveva contratto il suo primo matrimonio con Maria Emanuela di Portogallo. Rivendicava quindi i titoli per la successione. Tra i ceti portoghesi, soprattutto quelli mercantili, l’integrazione nell’impero spagnolo non era malvista. Così quando le truppe di Filippo II comandate dal duca d’Alba occuparono il Portogallo incontrarono una debolissima resistenza che fu immediatamente repressa.
1580: annessione del Portogallo, che significava l’acquisizione di un vasto impero coloniale e un importante osservatorio sull’ Oceano Atlantico. L’integrazione politica ed economica non ci fu. Ai portoghesi fu concessa una sostanziale autonomia istituzionale e restarono separati anche i domini coloniali della Spagna e del Portogallo. I mercanti e gli uomini d’affari portoghesi non trassero quindi i vantaggi sperati dall’unione.
INGHILTERRA: la penetrazione cattolica dei gesuiti, la presenza in Inghilterra dell’ex regina di Scozia Maria Stuart che aveva dovuto abbandonare il suo paese divenuto calvinista e cercava di organizzare il fronte antiprotestante contro la regina Elisabetta, la lotta del pontefice contro la chiesa anglicana, spingevano Filippo a progettare l’invasione dell’Inghilterra. Filippo poteva rendersi interprete di una vasta coalizione di interessi comprendente il papa, il partito cattolico inglese, il partito dei Guisa in Francia e, avanzando legittime pretese al trono inglese in quanto marito di Maria Tudor, portare la guerra in Inghilterra. Ma egli sottovalutava la forza navale e militare dell’Inghilterra e le reazioni che la semplice minaccia dell’invasione avrebbero provocato nella società inglese. Ma anche la flotta spagnola era potente e fu chiamata l’invincibile armata. A fornire il supporto alla flotta dovevano essere le truppe dei Paesi Bassi comandate da Alessandro Farnese che sarebbero dovute intervenire dopo l’invasione dell’armata. Nel 1588 l’armata partì da Lisbona, entrò nella Manica e si scontrò con le navi inglesi. La superiorità della marina da guerra di Elisabetta fu dovuta soprattutto alla superiorità dell’artiglieria inglese (le tattiche sono a pag. 135).
Alla fine del 1588 dell’invincibile armata restavano poco più di 50 navi. La sconfitta rappresentò l’arresto delle mire espansionistiche della Spagna e la fine dei sogni di restaurazione cattolica in Inghilterra e Olanda. Inoltre era l’affermazione dell’Inghilterra come grande potenza marittima. Anche il tentativo spagnolo di intervenire in Francia contro Enrico IV non gioverà a Filippo II. Così in meno di 20 anni la Spagna vedeva frustrato l’imperialismo attivo. Cominciava una crisi di egemonia. La Spagna aveva dovuto affrontare costi molti elevati sia per l’invincibile armata che per l’intervento nelle guerre di religione francesi. Questo avveniva in coincidenza con la crisi economica e finanziaria della Castiglia. I grandi imperi, quello turco e quello degli Asburgo, attraversano una fase di blocco della loro espansione. Francia, Inghilterra e Olanda sono in ascesa. Essi sono stati mediani per dimensione e per collocazione geopolitica: non hanno i problemi dell’estensione degli imperi e sono situati al centro dell’Europa.

Tratto da LE VIE DELLA MODERNITÀ di Filippo Amelotti
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