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L'adattamento dei trattati e delle fonti da esso derivate


La Costituzione non prevede alcuna norma sull'adattamento dei Trattati. Il Quadri, con un'interpretazione un po' forzata, ha tentanto di farli rientrare nella previsione dell'art. 10, facendo leva sulla consuetudine "pacta sunt servanda". Il Costituente però si è limitato a parlare di diritto internazionale generale e non anche del diritto internazionale particolare: oggi, inoltre, si stipulano fin troppi trattati e farli assurgere a rango constituzionale significherebbe facilitare i raggiri e le revisioni delle norme costituzionali senza le procedure previste dalla Carta fondamentale.
Perché il Trattato entri in vigore, è necessario un ordine di esecuzione. Generalmente lo si dà con legge ordinaria, ma nulla vieta che possa essere anche un atto amministrativo. La giurisprudenza ritiene che se è stato stipulato un trattato, ma ancora non è interenuto il provvedimento che ne ordini l'applicazione, non si può pretenderne l'osservanza e poco importa la responsabilità degli organi nazionali sul piano internazionale per violazione degli obblighi contratti. Da questa impostazione si capisce facilmente che neanche la giurisprudenza avalla la tesi che un trattato abbia qualcosa in più rispetto alla legge sul piano della gerarchia delle fonti. Se l'ordine di esecuzione viene dato con legge, il trattato sarà parificato alla legge: si applicheranno le normali regole di successione delle leggi nel tempo, seppure con alcuni temperamenti:
1. presunzione di conformità delle norme interne al diritto internazionale: se la legge posteriore è ambigua, deve essere interpretata in modo da consentire allo Stato il rispetto degli obblighi assunti in precedenza.
2. La legge posteriore prevale se vi è una chiara indicazione della volontà del legislatore di contravvenire agli impegni internazionali assunti. Una volta che il trattato abbia acquisito validità formale nello Stato, è sorretto da una duplice volontà normativa: la volontà di rispettare gli impegni assunti e la volontà di regolare quella materia, così come è disciplinata dal trattato. Non sembra perciò ammissibile un'abrogazione o modifica da parte della norma posteriore per una semplice ncompatibilità con il trattato. La volontà di derogare con legge posteriore può essere esplicita o implicita. In quest'ultimo caso si ritiene che l'oggetto dell'obbligazione e quello della norma interna debano coincidere perfettamente: sia per materia, sia per i soggetti destinatari della regolamentazione.
3. Il trattato si ritiene una norma speciale ratione materiae.
Una volta che la norma internazionale è stata immessa nell'ordinamento con legge ordinaria, non si discosta da questa per quanto riguarda il controllo di costituzionalità.

Tratto da DIRITTO INTERNAZIONALE di Alessandro Remigio
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