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Il dopo golpe in Venezuela


Una volta tornato al potere Chavez volle rispettare le istituzioni democratiche. Non volle adottare misure autoritarie contro quelle frange della società civile che lo avevano voluto cacciare. Anzi tentò di eliminare i motivi di attrito con alcune categorie sociali quali le forze armate. Sapeva che una altro golpe poteva essere tentato e si sentiva minacciato.
La sua prima mossa fu la stipula con Development Alternatives Inc. (DAI), una società di consulenza statunitense, di un contratto per gestire un fondo per aumentare la polarizzazione politica del Venezuela.
Le forze di opposizione che avevano tentato di defenestrare Chavez organizzarono un nuovo sciopero generale che durò 64 giorni. Ad esso si affiancò una serrata della Pdvsa, in particolare il blocco della raffinazione del greggio, la paralisi delle installazioni estrattive e il blocco dei trasporti per nave. Un grave danno economico che doveva costringere Chavez a dimettersi. Le forze contrarie a Chavez erano cresciute: esponenti del mondo degli affari, sindacalisti, proprietari dei media, Chiesa Cattolica, comandanti di navi, piloto di aerei, giudici della corte suprema, stanchi di 4 anni di populismo e rafforzamento dei poteri presidenziali.
Mentre Bush si sforzava di condurre una trattativa diplomatica con l’Iraq di Saddam Hussein, la pianificazione bellica per l’invasione della nazione mediorientale continuava.
L’ossessione di Washington per l’Iraq e il medi oriente iniziava allora e avrebbe comportato gravi danni per gli interessi statunitensi in altre zone del mondo come l’America Latina. In più gli Usa dopo il fallimento del golpe erano obbligati ad essere più circospetti e sostennero l’avvio di negoziati formali tra le forze di opposizione e il governo chavista, sponsorizzati dall’Organizzazione degli Stati Americani.
La mediazione internazionale unita alla volontà di Chavez di non cedere al ricatto delle opposizioni convinse queste ad accettare il blocco delle agitazioni sospendendo la serrata della Pdvsa in cambio dell’impegno a convocare un referendum revocatorio della carica presidenziale secondo quanto previsto dalla costituzione. Ai sensi di questa norma ogni carica elettiva poteva essere revocata dal popolo con una pronuncia collettiva non appena trascorsa almeno la metà del mandato. Il presidente accettò la sfida. Mentre procedevano le operazioni per la convocazioni del referendum, l’esecutivo decise di inaugurare una nuova fase del governo del paese. La totale ristrutturazione della Pdvsa e la sua definitiva sottoposizione al controllo del governo permise a Chavez di disporre degli enormi profitti dell’estrazione e dell’estrazione del petrolio che egli decise di reinvestire in ampi programmi sociali noti come “missioni”. Erano volte a combattere l’analfabetismo, l’abbandono scolastico, la disoccupazione, l’alto costo dei generi alimentari oltre a fornire ai venezuelani cure mediche gratuite. Il programma fu avviato nel 2003. questi programmi incisero sulla società venezuelana, in particolare nei settori più poveri, bisognosi di sostegno e ascolto da parte del governo. Per queste ragioni, sebbene le opposizioni le avessero denunciate come misure populiste furono costrette ad ammettere che se avessero mandato a casa Chavez chiunque lo avesse sostituito avrebbe dovuto continuare a spendere quote considerevoli di bilancio per finanziare tali progetti.
Accanto alle missioni c’erano altri provvedimenti come la realizzazione di infrastrutture per dotare di acqua potabile milioni di persone.
Il referendum contro il governo in carica si tenne nel 2004 e Chavez vinse. Così Chavez riuscirà finalmente a consolidare il suo potere per approfondire la rivoluzione bolivariana.

Tratto da AMERICA LATINA E STATI UNITI di Filippo Amelotti
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