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Platone e Cicerone


1.45 Non si può dire che Platone sia stato una delle fonti principali di Cicerone: egli è lontano dall’utopia platonica di creare una società perfetta. Cosciente dei contatti che Roma ha con gli altri popoli, rinuncia alla società chiusa teorizzata dai Greci in favore di uno “Stato reale”, basato sulle leggi, le quali non sono imposizioni fisse, ma implicano una possibilità di scelta, com’è nella natura del popolo romano (nato nel corso di più età e per virtù di molti uomini).

1.47 Il rinnovamento morale si ottiene solo con una lunga opera di educazione, operata dalla classe aristocratica ( “Repubblica aristocratica”): un mutamento del tenore di vita degli ottimati (gli esempi più evidenti per la città) porterebbe a correggere i costumi, poiché l’immoralità politica non va combattuta con le teorie utopiche, ma con una vera pratica di vita.

1.48 L’obiettivo, chiaramente, non è quello di avere una verità assoluta, ma un continuo miglioramento che può avvenire solo attraverso l’analisi delle leggi, che devono essere conosciute da tutti i cittadini in quanto strumento fondamentale del vivere civile (IGNORANTIA LEGIS NON EXCUSAT). L’ignoranza delle leggi fondamentali è inammissibile per chi si dica libero.

1.50 Il fine ultimo della societas (intesa come il risultato di un lungo cammino) è la convivenza pacifica degli individui, che possono così realizzare pienamente se stessi. Questa utilità comune va anteposta a quelle particolari, che comunque devono permanere, poiché senza di esse non c’è azione umana, ma non devono essere l’unico motore dell’azione. Per questo, accanto ai diritti positivi devono esistere dei diritti inalienabili che non possono essere eliminati, perché espressione dei principi del popolo romano.

Tratto da LA SOCIETÀ APERTA E I SUOI AMICI di Luca Porcella
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