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La salute degli operatori : la sindrome del burnout


Chi svolge una professione di aiuto può trovarsi a dover rispondere a bisogni non sempre soddisfacibili, sia per la mancanza di mezzi, sia perché le richieste possono essere improprie, questo a lungo andare può portare ad uno stato di logoramento e di stress psicofisico, che li rende meno attenti alle esigenze degli utenti, noto come sindrome del burnout.
Questo termine fu proposto negli anni ’70 da Freudenberg. E’ la risposta ad una situazione avvertita come intollerabile: l’operatore percepisce una discrepanza tra richieste degli utenti e risorse disponibili, ne deriva un senso di impotenza acquisita, dovuto alla convinzione di non poter fare nulla per modificare la situazione.
Ciò comporta un esaurimento di energie che può avere molteplici manifestazioni:
• Sintomi fisici (fatica, mal di testa, insonnia)
• Sintomi psicologici (senso di colpa, negativismo, alterazione dell’umore)
• Reazioni comportamentali (assenze frequenti, ritardi)
• Cambiamenti di atteggiamento (chiusura, distacco emotivo)
Questa sindrome oltre riguardare la sfera lavorativa, risiede nella combinazione di reazioni generiche allo stress con specifici sintomi comportamentali e modificazione degli atteggiamenti.
Per Maslach e Jackson il burnout è caratterizzata da tre dimensioni interdipendenti:
• Esaurimento emotivo (svuotamento delle risorse personali e sensazione di inaridimento)
• Depersonalizzazione (espressa in atteggiamenti di distacco, cinismo)
• Ridotta realizzazione personale (percezione della propria inadeguatezza).
Questa definizione è stata operazionalizzata mediante la costruzione di uno specifico strumento: il Maslach Burnout Inventory (MBI).
Cherniss ha proposto una descrizione del burnout come processo, articolato in 3 fasi:
1. stress (comprende un disequilibrio tra risorse e richieste)
2. strain (tensione emotiva, fatica, esaurimento immediato)
3. coping difensivo (cambiamenti negli atteggiamenti e nel comportamento).
Alcune ricerche hanno cercato di verificare l’esistenza di una sequenza temporale in cui uno degli elementi costitutivi del burnout tenda ad emergere per primo, promovendo lo sviluppo degli altri.
Leiter ha previsto un influsso causale nel tempo dell’esaurimento emotivo sulla depersonalizzazione. Un secondo modello prevede oltre che il suddetto legame, un’azione negativa della depersonalizzazione sul senso di realizzazione personale.
Un terzo modello ha evidenziato gli effetti autoregressivi di ciascuna componente del burnout su se stessa nel tempo, e una relazione causale tra scarso senso di realizzazione professionale rilevato ad un dato momento e il futuro emergere di vissuti di esaurimento emotivo.
Il modello più attendibile è quello in cui gioca il ruolo cruciale la realizzazione personale nella genesi della sindrome, aspetto che rimarca l’affinità tra questa dimensione e l’autoefficacia, infatti l’eventuale riduzione del senso di autoefficacia appare un anello importante nella catena dei vissuti negativi che portano al burnout.

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