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Il problema dell’adeguatezza delle prestazioni previdenziali


Ai sensi dell'art. 38 Cost., oggetto della tutela sono i mezzi adeguati: cioè prestazioni che siano di caratteristiche ed entità tali da soddisfare, nel loro complesso, le esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia.
Si deve ritenere che la prestazione adeguata sia l'oggetto della garanzia costituzionale attraverso la quale si soddisfa una istanza di sollievo dal bisogno e, insieme, di promozione sociale: in sostanza un interesse non esclusivo dell'immediato destinatario, bensì assunto e condiviso da tutta la collettività organizzata a Stato.
Le difficoltà che si incontrano nel determinare in concreto l’adeguatezza sono l'effetto combinato della oggettiva relatività del termine e di una certa ambiguità della norma che lo contiene.
Sembra certo, comunque, che la suddetta garanzia, sebbene non limitata alle prestazioni di mera sussistenza, non possa estendersi fino al punto di postulare un trattamento strettamente rapportato al livello retributivo raggiunto.
Infatti, anche se è lo stesso rilievo istituzionale del lavoro a reclamare che i pensionati vengano trattati secondo il "merito" maturato da "cittadini attivi", il rilievo del profilo meritocratico può essere solo tendenziale, posto che la ratio della norma costituzionale esprime al proposito non è quella della "conservazione", bensì, come già esposto, di sostegno e promozione sociale (dunque di "redistribuzione").
Il problema concettuale della "prestazione adeguata", dunque, va affrontato essenzialmente all'interno dello "specifico" previdenziale: cioè, restando rigorosamente all'interno della logica degli artt. 2 e 3 Cost. (principio di solidarietà e di parità sostanziale), cui l'art. 382 Cost. idealmente si collega.
Nei fatti, peraltro, il problema è stato affrontato e risolto dal legislatore ordinario con molto pragmatismo.
In numerosi, rilevanti casi, infatti, la legge ordinaria risulta protesa a garantire la conservazione del livello di reddito raggiunto durante il periodo di normale svolgimento della vita lavorativa.
Tanto si verifica, ad esempio, nella disciplina dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in quella di tutela della disoccupazione, ma, soprattutto, nel sistema delle pensioni.
Il legislatore, comunque, si preoccupa di garantire nel tempo e nell'oggetto l’effettività della tutela.
A garantire l'effettività nel quantum delle prestazioni economiche ha storicamente provveduto l’integrazione al minimo delle prestazioni pensionistiche, che consiste essenzialmente in ciò: quando il periodo assicurativo è particolarmente breve, o ridotto l'apporto contributivo, viene comunque assicurato un importo minimo della pensione, a patto che, ovviamente, ricorrano i minimi assicurativi e di contribuzione; e, comunque, l'assicurato non sia titolare di redditi annui rilevanti ai fini IRPEF, di importo superiore a un determinato limite, perché ciò, escludendo lo stato di bisogno, renderebbe ingiustificato l'intervento solidaristico.
Invero, la riforma pensionistica del 1995 ha abolito detta misura: il ruolo già svolto dell'integrazione al minimo dovrebbe essere assicurato, d'ora in poi, dall'assegno sociale, cioè dalla prestazione pensionistica di natura assistenziale che viene riconosciuta a tutti i cittadini (lavoratori e non) ultrasessantacinquenni che siano sprovvisti di reddito.
Il secondo strumento diretto a garantire l'effettività della tutela, questa volta nel tempo, è rappresentato dalla perequazione automatica dell'importo delle prestazioni economiche alle variazioni del costo della vita.

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