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Fase di transizione dei paesi dell'Europa Centro Orientale


Con la caduta del muro di Berlino termina l'era dei “2 mondi” e dei “2 sistemi economici”, e si da via al difficile percorso di integrazione dei paesi dell'est al sistema internazionale, esponendo quest'ultimi alla concorrenza internazionale, o più in generale, alle caratteristiche di un'economia globalizzata. La transizione rappresenta un evento unico nella storia, a ragione di un processo multidimensionale, che coinvolge gli stessi assetti politici e sociali, producendo mutamenti radicali e profondi.
Il 1989 segna l'inizio del grande processo di trasformazione delle economie dell'Europa centrale ed orientale che avrà come sbocco il passaggio da un'economia pianificata, basata sulla proprietà statale dei mezzi di produzione, ad un'economia di mercato fondata sulla proprietà privata.
Le sfide da affrontare sono numerose e riguardano: a) il processo di stabilizzazione macroeconomica, che significa contenimento dell'inflazione, finanze pubbliche sane e sostenibili, disciplina monetaria; b) ristrutturazione dell'economia, ossia adeguamento della capacità produttiva alla domanda interna ed internazionale, aumento della produttività dei fattori, riduzione dell'inquinamento, diminuzione del ruolo delle grandi industrie pesanti e crescita dei servizi; c) transizione dalla pianificazione centrale ad un'economia di mercato e quindi processo di de-monopolizzazione, presenza di mercati di beni e servizi, cessazione della struttura verticale della produzione dall'autorità centrale delle imprese, separazione della banca centrale dai compiti di concessione del credito commerciale, apertura dell'economia al commercio internazionale, convertibilità della moneta nazionale.
Il modello economico dei paesi dell'est trova fondamento sul principio della pianificazione centrale che tende a sostituirsi alle leggi della domanda e dell'offerta. Un'unica autorità fornisce i piani di produzione alle imprese, indica quanto, cosa e come produrre e definisce l'allocazione dei prezzi. Attraverso questa sistema, la Stato è in grado di esercitare il suo potere monopolistico e detenere la proprietà dei mezzi di produzione, scegliendo il tipo di produzione industriale e come redistribuire la ricchezza prodotta. La stessa struttura industriale è fortemente orientata verso l'industria pesante che in gran parte produceva beni utilizzati da altre imprese e contraeva la produzione di beni di consumo.
In questo contesto i prezzi non rivestono un ruolo importante nel processo di allocazione delle risorse, in quanto, fissati dalle autorità centrali, non rispondono ai meccanismo della domanda e dell'offerta.
Il fenomeno conduce ad altri 2 fenomeni negativi. In primo luogo non risulta possibile porre in essere quei meccanismi di aggiustamento che hanno lo scopo di adeguare la produzione ai cambiamenti della domanda, alla disponibilità dei fattori produttivi, all'innovazione tecnologica e all'andamento delle imprese. In secondo luogo, la mancanza di significatività dei prezzi relativi, unitamente alla tendenza del sistema bancario di emettere moneta per equilibrare i deficit registrati dal settore statale, produce da un lato un cronico eccesso di domanda e dall'altro la scarsità ai prezzi ufficiali di importanti beni di consumo per le famiglie e di inputs per le imprese.
Il sistema degli scambi commerciali presenta caratteristiche di una certa rilevanza, riassumibili nei seguenti punti: a) gli scambi avvengono in gran parte all'interno dei paesi del Comecon che verso il resto del mondo; b) le regioni di scambio differiscono ampiamente dai prezzi vigenti a livello mondiale; c) le esportazioni non sono considerate una componente della domanda globale ma un mezzo per pagare le importazioni.

Tratto da POLITICA ECONOMICA di Alessandro Remigio
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