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L’azione revocatoria fallimentare


Ora parliamo dell'azione revocatoria fallimentare, che il legislatore prevede e disciplina all'interno della Legge Fallimentare.
I presupposti dell'azione revocatoria ordinaria (o di diritto comune), visti in precedenza, erano:
- presenza di un atto di disposizione da parte del debitore avente come oggetto un bene del suo patrimonio;
- questo atto deve essere tale da intaccare il patrimonio del debitore, nel senso di diminuirlo o nel senso di modificarlo in modo tale da sostituire i beni facilmente aggredibili con beni difficilmente aggredibili quali ad esempio il denaro;
- l’atto deve rendere insufficiente il patrimonio del debitore a soddisfare le ragioni del creditore;
- ci deve essere la consapevolezza da parte del debitore che l'atto di disposizione pregiudica il creditore (e, nel caso in cui l’atto sia a titolo oneroso, tale consapevolezza deve essere anche dell'acquirente).
Nel caso dell'azione revocatoria fallimentare tali presupposti vengono ribaltati:
- deve trattarsi di un atto di disposizione che rientra in una delle categorie previste dal legislatore;
- può essere un atto che intacchi il valore del patrimonio del debitore, ma è anche previsto come atto soggetto alla revoca quello che rappresenti un'ipotesi di scelta preferenziale verso un creditore rispetto ad un altro: ciò è evidentissimo con riferimento ai pagamenti (nella revocatoria ordinaria invece il pagamento dei debiti scaduti non sono mai revocabili, non intaccano il patrimonio). Il pregiudizio quindi può consistere tanto nel depauperamento del patrimonio, quanto in un atto preferenziale;
- l'atto pregiudica i creditori nel caso in cui sia intervenuto in un certo periodo anteriormente alla dichiarazione di fallimento: è questo un requisito temporale; questo intervallo, a seconda dei casi, è di 2 anni, 1 anno e 6 mesi;
- qui il legislatore prende in considerazione la posizione soggettiva della controparte, non del debitore, e alla consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori sostituisce la conoscenza dello stato di insolvenza.
Le categorie di atti pregiudizievoli prese in considerazione dal legislatore sono:
I. atti di disposizione che non hanno alcuna contropartita o giustificazione economica (Art 64 e 65); sono revocabili se compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento;
II. atti anormali, o sintomatici dello stato di insolvenza (Art 67 I comma); sono revocabili se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;
III. atti normali (Art 67 II comma); sono revocabili se compiuti nei 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
I. Sono suddivisibili in due categorie:
- sono gli atti a titolo gratuito, che non hanno alcuna contropartita economica, e quindi depauperano il patrimonio dell'imprenditore e pregiudicano i creditori.
Art 64. Atti a titolo gratuito.
“Sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante.”
Ci sono poi degli atti a titolo gratuito che il legislatore esclude dalla revocatoria, come i regali d'uso (i regali di Natale fatti dall'imprenditore ai dipendenti ad esempio) e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità (come la beneficenza).
- è anch’esso un atto che non ha una sua giustificazione economica, è il pagamento di un credito non scaduto, con scadenza successiva al momento della dichiarazione di fallimento.
Art 65.Pagamenti.
“Sono privi di effetto rispetto ai creditori i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.”
Sono quindi questi degli atti dispositivi, che pregiudicano il patrimonio del debitore; il legislatore prende in considerazione il periodo di 2 anni anteriori alla data di dichiarazione di fallimento e si ferma a questo punto: cioè non si prende in considerazione la posizione soggettiva della controparte (colui che ha ricevuto il dono o il creditore che ha ricevuto questo pagamento anticipato), non si va a vedere se fosse o no a conoscenza dello stato di insolvenza. Ciò che conta qui è semplicemente il compimento di quel tipo di atto nei 2 anni precedenti alla dichiarazione di fallimento: basta così quindi dimostrare che quel certo atto è a titolo oneroso e che è intervenuto nei 2 anni precedenti alla dichiarazione.
-Sono gli atti anormali o sintomatici dello stato di insolvenza, che dimostrano che chi li pone in essere è “in cattiva salute”: sono tutti atti che, per essere revocati, devono essere intervenuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; questa categoria di atti è suddivisibile a sua volta in altre quattro categorie, ma noi ne analizzeremo soltanto tre:
- è l'ipotesi di un atto che presenti una notevole sproporzione fra prestazione e controprestazione: è l'esempio di una vendita ad un prezzo particolarmente basso, dove c'è l'imprenditore che è in una situazione di difficoltà e una delle possibili soluzioni è quella di mettersi a svendere dei beni per ottenere liquidità: la vendita di un bene a prezzo inferiore a quello di mercato è sintomo di una situazione di insolvenza, o quanto meno di preinsolvenza.
La riforma è intervenuta indicando anche quantitativamente quale sia la sproporzione rilevante, che deve essere di oltre un quarto (dall’Art 67 I comma si ha che “Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:
- gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;…”); è sicuramente un atto pregiudizievole in quanto esce qualcosa dal patrimonio del fallito e vi entra qualcosa di valore minore di oltre un quarto di ciò che era uscito;
- la seconda categoria è quella di atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili, fatti con mezzi anomali: si tratta di pagamenti compiuti dal fallendo ma con mezzi anomali, tali da sottintendere lo stato di insolvenza (è il caso dell'imprenditore che al posto del pagamento fornisce delle merci oppure una prestazione). E’ un atto anormale, che di per sé non depaupera il patrimonio del debitore (“… 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;…”);
- sono gli atti di concessione di garanzie: quand'è che la concessione di garanzie è un atto anormale? Ad esempio la banca viene contattata dall'imprenditore il quale le chiede di poter utilizzare una somma di denaro pari a 100, e la banca è disposta ad accordare il fido di 100 prendendo in pegno ad esempio dei titoli per il valore di 120. L’atto risulterebbe anormale nel caso in cui la garanzia venisse richiesta in un momento successivo: difatti, se la banca acconsentisse inizialmente alla concessione del fido senza la richiesta di alcuna garanzia in quanto si fida dell'imprenditore, ma in seguito, venendo a mancare questa fiducia nell'imprenditore, richiedesse la garanzia: è questo un atto anormale, sintomatico del fatto che il soggetto, cioè l'imprenditore, si trova in una situazione difficile. (“… 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;…”).
La garanzia non è di per sé un atto pregiudizievole, ma è un atto preferenziale in quanto si va a creare un privilegio a favore della banca piuttosto che verso gli altri creditori.
Per questi atti la situazione soggettiva diventa rilevante, con una regola tutta pecuniaria: trattandosi appunto di atti anormali, si presume che la controparte, cioè il contraente in bonis, sia a conoscenza dello stato di insolvenza: è però una presunzione che può essere superata con la prova contraria. Quindi il curatore non deve provare che l'altra parte fosse a conoscenza dello stato di insolvenza, bensì è l'altra parte che, se vuole evitare l'azione revocatoria, deve provare di non essere stata a conoscenza dello stato di insolvenza. (“Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:…”).
La prova contraria è però tutt'altro che facile: se ad esempio acquisto un bene dal fallendo ad un prezzo basso, dovrei dimostrare di non essermi reso conto che il prezzo era particolarmente basso e che l’imprenditore era in difficoltà; se ricevo un pagamento in natura, viene difficile dimostrare che io non fossi a conoscenza della situazione di difficoltà dell'imprenditore; è invece assolutamente impossibile dare dimostrazione contraria nel caso della banca, in quanto non si riuscirebbe a dimostrare che la banca non fosse stata a conoscenza della situazione difficile dell'imprenditore, visto che proprio tale situazione ha indotto la banca stessa a richiedere l'ipoteca successivamente alla concessione del fido.
Magari potrebbe risultare un po' più facile dimostrare che, nel caso di pagamenti con mezzi anormali, colui che ha ricevuto al posto del denaro un bene o una prestazione, avesse veramente bisogno di tale bene o di tale prestazione.
- tratta i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e le garanzie contestuali: sono tutti atti normali, cioè non sintomatici dello stato di insolvenza, atti revocabili in un periodo molto circoscritto; inoltre il legislatore prevede la necessità che il curatore, colui che propone l'azione revocatoria, dimostri che la controparte era a conoscenza dello stato di insolvenza. Per la giurisprudenza, e in particolare per la Cassazione, ciò che importa è la conoscenza effettiva, e non la mera conoscibilità: quindi bisogna dimostrare che l'altra parte effettivamente conoscesse lo stato d'insolvenza, conoscenza deducibile da circostanze esterne note, va dimostrato che queste circostanze erano conosciute dalla controparte.
Quali possono essere le circostanze esteriori che dimostrano lo stato d'insolvenza? Sono quelle circostanze già viste analizzando l’Art 5 dello stato di insolvenza (la fuga, la latitanza, la messa in cassa integrazione…e inoltre i ritardi nei pagamenti, protesti): bisogna dimostrare che queste circostanze esistono e che la controparte ne era conoscenza.
Il fornitore di una grande società in crisi è a conoscenza della situazione della società, mentre risulterebbe molto più difficile dimostrare che un’occasionale controparte ne fosse a conoscenza.
Nel caso invece della banca che ha concesso un fido all'imprenditore in difficoltà, la banca è tenuta istituzionalmente a conoscere lo stato di salute dell'imprenditore (difatti prima di accordare il fido, controlla i bilanci della società); inoltre grande importanza la assumono gli indici di bilancio.
Dall’Art 67 II comma si ha quindi, per quanto riguarda gli atti normali, che “Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori dalla dichiarazione di fallimento.”.
Il legislatore ha aggiunto un Art 67 III comma che introduce una serie di esenzioni dall'azione revocatoria, cioè una serie di atti che rientrano fra quelli normali, esentati dall'azione revocatoria: si tratta di una serie di sette categorie di atti, e ora ne vediamo i principali:
“Non sono soggetti all’azione revocatoria:
a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;
b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
c) le vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;
d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del Codice Civile;
e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis;
f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di concordato preventivo.”
a) vengono ritenuti atti necessari all'esercizio dell'impresa, e sono “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”; non si capisce qui però che cosa si intenda con  “termini d’uso”, se vada inteso come modalità, tempi... ;
f)  “…i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;…”;
g)  “…i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di concordato preventivo.”; sono tutti quei pagamenti a favore di quei professionisti che avviano l'imprenditore verso le procedure concorsuali.
Il legislatore interviene inoltre con delle norme particolari dirette a salvare certi atti: sono questi ad esempio gli atti di acquisto di immobili ad uso abitativo ( …c) le vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;…): è l'esempio in cui tizio acquista un immobile, e magari aveva già pagato una parte del prezzo, e poi il costruttore fallisce, ritrovandosi così con un pugno di mosche.
Il legislatore mette inoltre a riparo dall'azione revocatoria degli atti che sono strumentali rispetto all'esecuzione di procedure alternative (...e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo  82-bis;…): questi atti non sono revocabili.
L'esenzione però di maggior interesse è quella riportata al punto b), dove si legge che non sono soggetti all'azione revocatoria “le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”; qui il discorso si fa complesso e bisogna accennare alla situazione prima della riforma. Questo è proprio il cuore dell'azione revocatoria, in quanto l'azione revocatoria andava proprio a colpire queste rimesse effettuate su conti correnti bancari.
La rimessa è un termine che viene utilizzato per indicare un versamento effettuato sul conto corrente (la forma utilizzata era difatti “revocatoria delle rimesse bancarie”).
Immaginiamo un conto corrente con un saldo attivo, che viene aperto oggi con un versamento di 100 e poi vengono effettuate delle operazioni attive (versamenti) o passive (prelievi), ma tutte nell'ambito della disponibilità esistente. In questo caso non si avrà un'azione revocatoria in quanto tutte le varie operazioni sono sempre operazioni attive, o comunque passive ma sempre fatte all'interno della disponibilità: il correntista non si è mai trovato ad essere debitore nei confronti della banca.
Immaginiamo invece ora un correntista che apra il conto con 100, poi a un certo punto prelevi i 100, e immaginiamo inoltre che sia un conto non affidato: a questo punto il correntista non potrebbe più effettuare dei prelievi, ma solo dei versamenti in quanto si trova con un saldo pari a 0, ma supponiamo che invece il correntista continui ad effettuare delle operazioni di prelievo (la banca difatti può bloccare così come non bloccare l’operazione), ad esempio che prelevi
10: a questo punto il conto sarà in rosso di 10, e ciò significa che il correntista sarà in debito verso la banca.
Supponiamo poi che in un momento successivo il correntista versi 5: si estingue così in parte il suo debito di 10. Immaginiamo poi che questa operazione continui ad andare avanti, cioè che successivamente prelevi altri 10 e poi versi questa volta 10, e così per un'altra volta ancora.
Ora ragioniamo nei termini della normativa precedente: i versamenti effettuati dal correntista (pari a 5, poi a 10 e poi di nuovo a 10) sono versamenti effettuati da un soggetto debitore della banca: quindi i versamenti, le rimesse, effettuate nei confronti di un conto corrente in rosso rappresentano i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, perché nel momento in cui, con un conto in rosso, la banca chiude un occhio e concede un affidamento, il correntista si trova ad essere debitore della banca. Sono pagamenti di debiti liquidi ed esigibili e, se fatti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, e se la banca conosceva lo stato di insolvenza (magari tramite gli indici di bilancio), ecco che è un atto revocabile.
Come si muoveva la giurisprudenza di fronte a questa situazione che non era disciplinata? Si muoveva in un'ottica atomistica, cioè si muoveva considerando operazione per operazione; prendiamo in considerazione l'esempio precedente, analizzando rimessa per rimessa, atomisticamente: se ipotizziamo che l'intervallo considerato, rispetto al fallimento, sia compreso nell'anno (mentre oggi è di 6 mesi), 5 risulta essere il pagamento di un debito liquido ed esigibile, e poi anche i successivi due pagamenti per 10 risultano essere dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili: considerando così le tre operazioni atomisticamente, si hanno tre versamenti, tre pagamenti liquidi ed esigibili e quindi la revocatoria, considerando ciascuna di queste rimesse, sarà di 5, di 10 e di 10.
Poi la giurisprudenza introduceva qualche piccolo accorgimento: per esempio considerava non revocabili le operazioni bilanciate, che erano operazioni effettuate contestualmente e dirette ad accreditare una somma su un conto e immediatamente disporne; se questa operazione fosse stata fatta contestualmente, sarebbe stata considerata un'operazione bilanciata e quindi non revocabile: è il caso in cui il correntista, vedendo il conto in rosso, versi 10 e poi prelevi 10: in questo caso difatti il correntista non paga per ridurre o eliminare la sua posizione debitoria; tale operazione doveva essere però un’operazione contestuale, cioè se per esempio veniva effettuato un versamento di 10 ma poi veniva utilizzato a distanza di tempo, allora non si considerava un'operazione bilanciata.
Oggi il legislatore applica la teoria del massimo scoperto: è una teoria che verifica alla fine del fallimento quale sia l'effettiva situazione in cui si trova il fallendo; si tratta di verificare qual è la somma più bassa, cioè qual è stato il massimo dell'affidamento che è stato realizzato, e la posizione finale.
Ipotizziamo di partire da una somma di 100, che viene successivamente azzerata, e di avere un utilizzo di 10, che quindi porta ad una situazione passiva di -10: immaginiamo poi che ci siano quattro successivi versamenti dell'importo di 2: alla fine, nel momento in cui l’imprenditore viene dichiarato fallito, qual è la situazione?
Dovrà alla banca 2 (dato dai 10 che aveva prelevato meno gli 8 che ha versato): allora la somma per cui è possibile la revocatoria è la differenza tra la posizione più bassa, cioè il massimo scoperto, il massimo dell'indebitamento, e la posizione finale.
In questo caso dovrà essere revocato per 8.
Con questo sistema vengono elise tutte le operazioni con cui si fanno dei versamenti e dei prelievi.
Immaginiamo un altro caso in cui alla fine ci sia sempre un versamento di 8 con una situazione finale passiva di -2, e che nell'intervallo vengano effettuati continui prelievi di 3 e versamenti di 3.
Se si fosse proceduti con una visione atomistica,   
ogni versamento era un atto estintivo, e quindi sarebbero stati revocati tutti questi versamenti di 3.
Invece, attraverso la regola del massimo scoperto, si va a vedere qual è stata la somma più bassa che è stata raggiunta, e la somma finale.
Viene così esattamente revocata la somma che è stata data alla banca: a ciò si perviene dalla lettura dell’Art 70 ultimo comma, che recita “Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza, e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del convenuto d’insinuare al passivo un credito d’importo corrispondente a quanto restituito.”.
Ipotizziamo sempre il caso in cui il correntista parta da una somma sempre di 100, che poi preleva integralmente: se successivamente, andando in rosso con il conto, prelevi una cifra pari a 10, per poi andare a versare 20, la revocatoria sarà mossa su 10.
Perchè la revocatoria nei confronti delle banche e la revocatoria generale sono morte? La norma che ha abbattuto la revocatoria è quella connessa ai 6 mesi: le banche non sono normali creditori, in quanto conoscono bene la situazione dei loro debitori, le reali vicende che li riguardano, e il debitore ad un certo punto supponiamo che venga convocato in giudizio per la dichiarazione di fallimento, con l’istanza che ad esempio viene presentata al 1 aprile: a questo punto inizia quella fase di istruttoria prefallimentare diretta alla dichiarazione di fallimento, e prima che si abbia l'udienza, per quanto la procedura possa essere veloce, trascorrono almeno tre, quattro mesi; è chiaro che, nel momento in cui c'è l'istanza di fallimento, il ceto bancario si ferma, e quindi non vengono più effettuate delle operazioni sul conto corrente.
Ne consegue che il periodo per la revocatoria fallimentare si riduce a due, tre mesi prima della sentenza che condanna il pagamento: ecco perché la revocatoria nei confronti delle banche è quasi andata scomparendo.
La revocatoria ha per effetto l'inefficacia dell’atto: stando ad esempio a quest'ipotesi di revocatoria nei confronti delle banche, si avrà l'inefficacia dell'atto di pagamento. E’ un atto inefficace, un atto che non produce effetti nei confronti dei creditori.
Che cosa comporta tutto questo sul piano operativo? Per il curatore è come se non ci fossero e quindi, se è come se non ci fossero, nel caso in cui fosse il pagamento di un credito, si avrà la restituzione dei soldi (la banca ad esempio sarà tenuta a restituire i soldi).
L’effetto concreto è l'effetto restitutorio delle somme e/o dei beni ricevuti dal terzo: ma il terzo rimane a bocca asciutta? Difatti se il terzo è costretto a dover restituire le somme che aveva ricevuto, non vedrà estinto più il suo credito che aveva in precedenza, e così il creditore, rimanendo ancora tale, potrà insinuarsi al passivo. A questo punto quindi il terzo parteciperà al concorso con tutti gli altri creditori.
Oggi il legislatore ha messo un termine rigoroso, un termine di decadenza per cui l'azione revocatoria deve essere promossa entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento: il curatore non può quindi procrastinare l'esercizio dell'azione revocatoria ulteriormente ai 3 anni dalla dichiarazione di fallimento, in quanto questo è un termine di decadenza.
L’azione revocatoria è un'azione giudiziaria che esperisce il curatore, un’azione che prevede un processo ed un'azione che si promuove sempre di fronte al tribunale fallimentare.
Il curatore deve essere comunque sempre autorizzato dal giudice delegato.

Tratto da DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI di Andrea Balla
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