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I componenti positivi: i ricavi


Ai sensi dell’art. 85 costituiscono ricavi:
- I corrispettivi delle prestazioni di servizio rientranti nella sfera dell’attività “caratteristica” dell’impresa. In relazione alle prestazioni (infrannuali) in corso al termine dell’esercizio, il rinvio ai criteri di classificazione in bilancio previsti dai pci di cui all’art. 83 implica, per le società che li adottano, l’inclusione tra i ricavi anche della quota di questi ultimi maturata nell’esercizio in ragione dello stadio di completamento delle prestazioni medesime;
- I corrispettivi delle cessioni di beni-merce;
- Le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni-merce;
- I contributi in denaro, o il valore normale di quelli in natura, spettanti sotto qualsiasi denominazione in base al contratto, nonché i contributi esclusivamente in conto esercizio spettanti a norma di legge;
- Infine, il valore normale dei beni-merce assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Non sembra invece costituire ricavo il valore normale delle prestazioni di servizio devolute all’autoconsumo o a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, le quali di riflesso sollevano un problema di inerenza dei relativi costi.
Produrrebbero ricavi la cessione a titolo oneroso (cioè verso un corrispettivo), la perdita o il danneggiamento che genera un risarcimento, il passaggio dalla sfera imprenditoriale a quella privata del soggetto, o dalla sfera societaria a quella personale dei soci, la cessione a titolo gratuito (ossia senza un corrispettivo).
In tutte le ipotesi di mutamento di destinazione, l’evento considerato deve, se il bene è registrato nell’inventario tra le attività relative all’impresa, rispecchiarsi nell’inventario medesimo. Qualora ciò non dovesse avvenire esso rimarrebbe infatti un bene relativo all’impresa, nonostante l’utilizzo personale o familiare, in virtù del criterio formale di identificazione dei beni relativi all’impresa, pur destando un problema di deducibilità dei relativi componenti negativi in rapporto al principio di inerenza.
Per determinare l’importo che, sotto la denominazione di ricavo, deve concorrere alla formazione del reddito d’impresa è opportuno distinguere le ipotesi nelle quali alla prestazione del servizio o al distacco del bene-merce dalla sfera dell’impresa si riallaccia un’attribuzione patrimoniale (ossia un corrispettivo o un’indennità risarcitoria) dalle ipotesi nelle quali essa difetta.
Se vi è un’attribuzione patrimoniale, l’importo dei ricavi coincide con il valore di quest’ultima, salvo che, trattandosi di operazione infragruppo internazionale, non si applichi in meccanismo del transfert price di cui all’art. 110 c. 7.. Occorre però osservare che l’attribuzione patrimoniale può consistere in una somma di denaro, ma può anche consistere in un bene materiale, in un bene immateriale, in un servizio, in un credito verso un terzo, nella liberazione da un debito verso il cessionario o verso un terzo.
Quando l’attribuzione patrimoniale assume un contenuto diverso da una somma di denaro occorre fare riferimento al valore normale del bene assegnato, o del servizio prestato in corrispondenza con il trasferimento del bene-merce o con la prestazione del servizio, aumentato o diminuito dall’eventuale conguaglio in denaro convenuto. Per le società che adottano i pci, la permuta assume rilevanza solo se implica un mutamento significativo nei flussi finanziari legati al bene: se il bene ricevuto è similare per natura e per valore a quello ceduto la permuta non ha sostanza economica, e dunque non incide sulla misurazione del risultato dell’esercizio e sulla misurazione dell’imponibile.
Sull’imputazione temporale delle indennità per la perdita o il danneggiamento di beni conviene spendere qualche parola, per chiarire come in linea di principio essa non possa venire agganciata puramente e semplicemente all’evento dannoso, ma debba ricollegarsi ad un atto capace di conferire loro i caratteri della certezza e della determinabilità. Un simile atto può essere di fonte privata, come quello con cui il danneggiante o la sua assicurazione si impegnano nei confronti del danneggiato a versare una certa cifra, oppure di fonte pubblica, come una sentenza definitiva di condanna.
Il distacco dei beni-merce dall’insieme dei beni relativi all’impresa (la perdita da parte dei beni di cui trattasi della qualità di beni relativi all’impresa), senza una contropartita patrimoniale, impone al soggetto di includere fra i ricavi il valore normale dei beni-merce considerati. In ordine all’assegnazione dei beni ai soci conviene precisare come questa possa avvenire a qualsiasi titolo, ossia a titolo di distribuzioni di utili, di riserve di capitale, ecc.
Vanno ricompresi tra i ricavi anche i contributi spettanti in base ad un contratto, e quelli esclusivamente in conto esercizio spettanti in base a norma di legge.
La prima categoria (cioè i contributi spettanti in base a contratto) non è agevolmente definibile, schiacciata tra quella formata dai contributi per le prestazioni di servizio alla cui produzione è diretta l’attività d’impresa (costituenti anch’essi ricavi) e quella formata dai proventi corrisposti a titolo di contributo o di liberalità (costituenti invece sopravvenienze attive).
Quanto alla seconda categoria (contributi in conto esercizio) si pone il problema di distinguerli dai contributi in conto capitale, i quali costituiscono, se non imputati a riduzione del costo dei beni per la cui acquisizione sono stati erogati, sopravvenienze attive.
I contributi in conto esercizio si connotano per porsi come erogazioni finalizzate a fornire alle aziende beneficiarie un sostegno economico di tipo ordinario, correlato alle loro esigenze di gestione. Si inquadrano in tale categoria, pertanto, le erogazioni pubbliche previste per quelle imprese che operano in settori economici nei quali vige un regime di prezzi imposti, ovvero per quelle che esercitano attività di produzione di beni che, pur socialmente o economicamente utili, non trovano sul mercato un’adeguata remunerazione.
Di contro, i contributi in conto capitale risultano vincolati ad una precisa situazione economico aziendale, e sono tipicamente preordinati ad imprimere una modifica alla struttura dell’impresa beneficiaria, rinnovandone, potenziandone o ristrutturandone impianti, mezzi o organizzazione. Non si ispirano, come i primi, ad una logica meramente sovvenzionale, ma rispondono ad un’esigenza di promozione ed intervengono nella vita economica. Per pci (IAS 20) si considerano contributi in conto capitale “quelli per il cui ottenimento è condizione essenziale che l’impresa acquisti, costruisca o comunque acquisisca attività immobilizzate”.
Nell’imputazione temporale dei contributi in conto esercizio, diversamente che in quella dei contributi in conto capitale, occorre seguire il criterio della competenza. Ne deriva che i contributi in questione devono essere attribuiti al periodo d’imposta nel corso del quale sorge il diritto al loro conseguimento, e il loro importo risulta determinabile in modo obiettivo.
Nell’ipotesi in cui all’autorità erogante è assegnato unicamente il compito di controllare la ricorrenza dei presupposti ai quali viene ricollegata l’erogazione del contributo, il provento in questione deve essere incluso nel reddito relativo al medesimo esercizio in cui detti presupposti si realizzano. Laddove invece la concessione del contributo è subordinata ad una valutazione discrezionale da parte dell’autorità erogante, oppure alla capienza di determinati stanziamenti, la sua partecipazione alla formazione del reddito deve essere postergata sino all’emissione dell’atto che lo concede o, eventualmente, all’emissione del successivo atto di liquidazione, se l’importo non può giudicarsi obiettivamente determinabile senza l’intervento di quest’ultimo. La giurisprudenza sembra peraltro ignorare questa differenziazione, e tende a considerare i contributi di esistenza certa soltanto nel periodo in cui si ha il loro formale riconoscimento da parte degli organi competenti con la comunicazione del decreto di liquidazione.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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