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Il sistema dei controlli interni nella Pubblica Amministrazione



Il D.L.vo 30 luglio 1999, n. 286, in attuazione della delega di cui all'art. 11 della legge 18 marzo 1997, n. 59, ridefinisce l'intero sistema dei controlli interni alle pubbliche amministrazioni, apportandovi chiarimenti di carattere concettuale di notevole importanza ed indicandone gli strumenti attuativi.
Com'è noto la precedente disciplina dei controlli interni era contenuta nell'art. 20 del D.L.vo 3 febbraio 1993, n. 29, oggi quasi totalmente abrogato dal richiamato D.L.vo n. 286/99. Il D.L.vo 25 febbraio 1995, n. 77, art. 39, rimandava ai regolamenti di contabilità ed agli statuti comunali la materia dell'applicazione del controllo interno di gestione. Ancora nel successivo art. 40 era rinviata ai regolamenti di contabilità degli enti la disciplina della cadenza periodica per l'esercizio del controllo stesso. Notevole importanza rivestiva la disposizione dell'art. 9, comma 4, della legge n. 127/97. In essa, infatti, il legislatore aveva lasciato all'autonomia regolamentare degli enti locali la facoltà di disciplinare in maniera diversa dal D.L.vo n. 77/95 e dunque, per così dire, delegificare le materie delle modalità e del referto del controllo di gestione, talché l'istituto (art. 39 D.L.vo n. 77/95) era obbligatorio per tutti gli enti, salvo la possibile deroga regolamentare delle modalità d’attuazione e dei referti.
L'istituto, così come concepito dal legislatore, non ha avuto gran successo. In particolare nei comuni di ridotte dimensioni è rimasto ampiamente inattuato.

Disciplina generale: Il legislatore delegato, con il provvedimento in esame, stabilisce principi generali che informano tutto il sistema dei controlli interni, fornendo, per altro, chiarimenti concettuali che nella precedente disciplina mancavano totalmente. Per cui stabilisce che debba intendersi per controllo di regolarità amministrativa e contabile l'attività rivolta alla garanzia della legittimità, della regolarità e correttezza dell'azione amministrativa; per controllo di gestione quella rivolta alla verifica dell'efficacia, dell'efficienza, dell'economicità dell'azione amministrativa, onde ottimizzarne il rapporto fra costi e risultati; per valutazione della dirigenza quella delle prestazioni professionali e di risultato dei funzionari aventi livello dirigenziale o cui siano state conferite tali funzioni; per valutazione e controllo strategico l'attività rivolta al confronto fra obiettivi predefiniti in sede politica e risultati conseguiti in sede di scelta degli strumenti attuativi (art. l).
Tutta l'azione amministrativa deve essere dunque monitorata attraverso un osservatorio che la esamina da quattro punti di vista, attivando, come meglio si vedrà, soggetti diversi che, in alcuni casi, possono anche coincidere. Ciò finalizzato, come nell'inscriptio legis, al "... monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche".
Fermi restando i principi sulla separazione delle funzioni politiche da quelle gestionali di cui all'art. 3 del D. L.vo n. 29/93, altri principi generali, prevalentemente relativi ai soggetti del sistema dei controlli, informano la progettazione da parte delle pubbliche amministrazioni dei rispettivi sistemi del controllo interno. Essi sono cinque (art. 1, comma 2):
1)l'attività di valutazione e controllo strategico, come sopra definita, essendo rivolta alla verifica della congruenza del rapporto piani e programmi/scelte attuative (cfr. art. 6, comma 1), deve essere svolta da soggetti che rispondono direttamente agli organi politici. Normalmente tali soggetti eserciteranno anche, la valutazione della dirigenza. Si pensi dunque alla costituzione degli uffici di staff che rispondono direttamente al Sindaco ed alle Giunta (cfr. art. 6, comma 2);
2)il Controllo di gestione e la valutazione dei dirigenti, quando quest'ultima non è svolta con le modalità di cui al punto precedente, devono essere svolti da soggetti che rispondono ai dirigenti della struttura interessata. Dunque un ufficio per il controllo di gestione in ogni settore della struttura dell'Ente. Non si può non notare una contraddizione che seminerà confusione, a nostro avviso, nell'individuazione degli istituti preposti. La valutazione dei dirigenti non può essere esercitata da strutture che rispondono ai dirigenti stessi, per cui il principio generale di cui all'art. 1, comma 2, lett. b), è quanto meno poco chiaro nella parte in cui congiunge all'attività di controllo di gestione, quella di valutazione dei dirigenti;
3)quest'ultima, infatti, utilizzando i risultati del controllo di gestione (cfr. anche art. 5, comma 1), deve essere effettuata da soggetti che non possono essere gli stessi incaricati del controllo di gestione medesimo, facendo capo, ai dirigenti «valutati»;
4)l'integrazione delle funzioni sopra esposte. Dunque la correlazione sistematica di funzioni diverse svolte da diverse strutture;
5)il divieto fatto dal legislatore delegato, che il controllo di regolarità amministrativa e contabile sia svolto dai soggetti preposti al controllo di gestione, alla valutazione dei dirigenti ed alla valutazione e controllo strategico.
Prima dell'esame di alcuni aspetti apparentemente poco chiari, è bene sottolineare che i cinque principi generali sopra brevemente esposti non sono obbligatori per tutte le amministrazioni pubbliche: essi lo sono per quelle dello Stato, possono essere recepiti (ma non derogati) dalle regioni nell'ambito delle loro autonomie legislative e organizzative, possono essere derogati dagli enti locali e dalle altre amministrazioni, con atti regolamentari di autonomia. In particolare, per gli enti locali, si pensa agli statuti ed ai regolamenti di contabilità.
La formulazione del comma 3 dell'art. 1, a prima lettura, potrebbe far pensare alla facoltizzazione degli enti locali e delle camere di commercio, sull'adeguamento dei loro ordinamenti al decreto in esame, ma, da un'osservazione più attenta della disposizione e dal confronto con altre, in particolare con l'art. 1, comma 2, e con l'art. 10, comma 4, seconda alinea, ci si avvede che la formulazione della disposizione ha riguardo esclusivamente alle modalità di un adeguamento comunque obbligato. Ciò, per altro, era già stato notato dai primi commenti al decreto (Cfr. MONEA, MORDENTE, Nei piccoli comuni la soluzione di un'unica struttura specializzata, Guida agli Enti locali, 34, 1999, 50).

In sintesi il sistema creato dal legislatore delegato, con riferimento agli enti locali ed alle altre amministrazioni non statali, può essere così riassunto: tutte le pubbliche amministrazioni, siano esse statali o non statali, devono adeguarsi al nuovo sistema dei controlli interni di cui al D.L.vo n. 286/99; le amministrazioni locali possono derogare ai cinque principi di cui all'art. 1, comma 2, sopra richiamati, attraverso provvedimenti normativi di autonomia (Statuto e regolamento di contabilità); nell'ipotesi di inerzia delle amministrazioni locali, dunque in mancanza dell'adeguamento, tutti i principi del decreto, così come enunciati, sono applicabili anche ad esse.
Un altro aspetto per il quale il legislatore delegato non eccede in chiarezza è la competenza in materia di controllo di gestione. Infatti, mentre nell'art. 1, comma 2, lett. b) pur essendo questo uno dei principi derogabili dalle amministrazioni non statali e regionali tale controllo è svolto da soggetti che rispondono ai dirigenti delle unità organizzative interessate; nel successivo comma 6 dello stesso articolo si pone un rapporto di referenza di questi soggetti nei confronti degli organi politici (che ci appare, per altro, soluzione più idonea).
Vero è che gli ordinamenti d'autonomia delle amministrazioni non statali, nel derogare al principio di cui al richiamato art. 1, comma 2, lett. b), possono adottare la soluzione che a noi appariva più idonea, ma nelle amministrazioni dello Stato l'attuazione del controllo di gestione avrà sicuramente problemi applicativi dovuti all'ambiguità della norma.
Evidenziati questi aspetti, ciò che tuttavia ci lascia notevolmente perplessi è la derogabilità da parte degli enti locali, del principio di cui all'art. 1, comma 2, lett. e). Tale principio sancisce l'incompatibilità fra soggetti deputati a controlli di natura differente: l'uno che ha riguardo all'attuazione dei programmi, alla valutazione dell'operato dei dirigenti ed al controllo di gestione certamente deve essere affidato ad un soggetto che risponda direttamente agli organi politici (si pensi agli uffici di staff, ad esempio) e da questi in qualche modo dipendono; l'altro, invece che ha riguardo alla legalità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa dovrebbe essere svolto da soggetti indipendenti dagli organi politici. Il divieto contenuto nella norma in rassegna non dovrebbe essere derogabile per nessuna amministrazione. Evidentemente il rischio è di affidare la materia della legittimità, della regolarità e correttezza degli atti a soggetti dipendenti dagli organi politici (dunque non imparziali) in quanto non collocati in posizione di autonomia rispetto ad essi.
Invero, a ben guardare, il legislatore delegato, in questo senso, non ha creato un meccanismo perfetto: anche se quel principio non fosse derogabile, aver affidato il controllo di legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa ai revisori ovvero agli uffici di ragioneria che, dunque, in mancanza di deroghe, quel controllo sono tenuti a svolgere, non sembrerebbe la soluzione migliore. Infatti, i revisori sono eletti dai consigli comunali (nella peggiore delle ipotesi dalle loro maggioranze) ed i responsabili degli uffici di ragioneria sono nominati dal Sindaco con atto monocratico ai sensi dell'art. 50 comma 10 del d.lgs. 267/2000, sicché da questi revocabili.
Un'ultima notazione di notevole importanza riguarda la previsione fatta dal legislatore delegato, che più amministrazioni omogenee possano attuare il nuovo sistema dei controlli interni in forma associata, mediante una convenzione che ne disciplini modalità di costituzione e funzionamento (art. 10, comma 5). Si pensi all'importante ruolo che in questo senso possono svolgere le comunità montane, attraverso la delega dai comuni compresi nei rispettivi territori, comuni solitamente molto piccoli e nei quali sarà verosimilmente molto difficile che si attui il nuovo sistema dei controlli interni.

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