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Articolo 22: studio delle cause efficienti e delle cause finali dei fenomeni

È opportuno fare tali osservazioni per conciliare coloro che sperano di spiegare meccanicamente la struttura del corpo di un animale, e coloro che rendono ragione di questa stessa struttura per mezzo delle cause finali. Entrambe le vie sono buone e gli autori che seguono l’una o l’altra via non dovrebbero maltrattarsi a vicenda: «l’abilità di un artigiano si nota non soltanto mostrando quale progetto abbia avuto in mente costruendo i pezzi della sua macchina, ma anche spiegando come funzionino gli strumenti di cui si è servito per foggiare ciascun pezzo, soprattutto quando tali strumenti siano semplici e ingegnosamente inventati»1. Tuttavia, secondo Leibniz, lo studio delle cause efficienti dei fenomeni, che è più immediato perché più vicino al nostro quotidiano sentire, è uno studio molto approfondito, perché scende nei dettagli dei fenomeni, ma diventa molto difficile quando scende troppo nei particolari. D’altro canto, lo studio delle cause finali è più facile e ci conduce più velocemente a scoprire verità importanti per la cui rivelazione occorrerebbe molto più tempo seguendo l’altra strada. Snellius (1591-1636), matematico che scoprì prima di Cartesio le regole della rifrazione, avrebbe atteso molto per trovarle se avesse voluto cercare in primo luogo come si formi la luce. Egli si è servito del metodo che gli antichi usavano per la catottrica1 e che faceva riferimento alle cause finali. La dimostrazione di questo stesso teorema, Cartesio ha voluto darla ricorrendo a cause efficienti.

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