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La relazione dell'operatore con la sofferenza psichiatrica

Si cercherà di tratteggiare brevemente la genesi del disagio psichico nonchè le modalità con cui le persone che si dedicano a questo tipo di lavoro possono entrare in relazione tra di loro e con le persone sofferenti.
Emozioni e sensazioni dolorose, coinvolgenti, spesso disturbanti, ma che ogni operatore deve essere in grado di riconoscere e attrezzato a significare. È necessario che una buona parte della formazione professionale di infermieri ed educatori in ambito psicologico sia dedicata a riconoscere e comprendere chi è malato o si trova a vivere un grave momento di disagio.
Il rischio è quello di incorrere in quello stato psico-fisico che comunemente è definito come burn-out.
Con questo termine si indica la risposta dell'operatore, in termini di valutazione e di emozione, a una situazione relazionale sentita da lui come intollerabile, in quanto viene percepita una distanza incolmabile tra le richieste rivolte dagli utenti-pazienti e le proprie risorse emotive e fisiche.
Ne può derivare un senso di impotenza acquisita dovuta alla convinzione di non poter fare più nulla per gli altri e anche un esaurimento di energie.

RELAZIONE MENTE-CERVELLO

Prima di affrontare il tema della relazione con la sofferenza psichica, ci pare necessario soffermarsi a riflettere o quanto meno porsi il problema rispetto a quello che è definito come "rapporto mente-cervello". Porsi in relazione con la soffenza significa relazionarsi con la mente di cui le emozioni e gli affetti sono una funzione.
Se si parla di incontro tra persone in termini psicologici o anatomo-fisiologici.
Non significa escludere uno o l'altro aspetto; infatti le esperienze con l'ambiente (tradotto in termini psicologici, le relazioni e le emozioni) influenzano in maniera determinante le funzioni neuronali e sinaptiche del cervello e, in maniera analoga, la funzionalita cerebrale influisce sulle relazioni che l'individuo intrattiene con l'ambiente, ovvero sulla sua mente. I due domini, ovvero quello della mente e quello del cervello, leggono il comportamento dell'essere umano e ne ricercano una spiegazione attraverso l'utilizzo di linguaggi differenti. Ciò che è importante è sapere distinguere e riconoscere la reciproca influenza.

IL VALORE UNICO DELL'ESPERIENZA SOGGETTIVA


La psicologia ha, tra i suoi capisaldi, l'idea che ogni persona, sia in uno stato di benessere che di sofferenza, è differente da tutte le altre; la sua diversità è da intendersi come il risultato di una storia di relazioni.
Secondo questa prospettiva le esperienze infantili sono di importanza cruciale.
Non è però plausibile ipotizzare che le esperienze relazionali infantili siano i soli fattori implicati nella genesi della patologia psichica.
Infatti la ricerca ha evidenziato numerosi distinti temperamenti costituzionali in bambini appena nati. Secondo questa prospettiva teorica, l'origine di molti disagi psichici è da ricercare nella qualità della corrispondenza tra il temperamento del bambino e il temperamento e l'accudimento psicologico della figura genitoriale.
Il processo evolutivo e di crescita di un individuo si configura così come un'interazione tra i tratti ereditari e i fattori ambientali e psicologici. La dotazione genetica di un bambino influenzerà il modo in cui i genitori si relazionano a lui e il modo in cui i genitori trattano quel bambino influenzerà, a sua volta, il suo sviluppo cerebrale ed emozionale.
La sfera biologica e quella psicologica sono costantemente intrecciate e nessuna delle due è da intendersi come la causa principale della genesi della particolare e unica storia di vita del paziente.

RELAZIONI PATOGENE

Lo sviluppo psichico normale e patologico si sviluppa sempre all'interno di un sistema chiamato intersoggettivo. Il contesto intersoggettivo si può figurare come un campo di interazione all'interno del quale l'individuo nasce e lotta per stabilire contatti e per esprimersi.
Saranno quindi questi contesti specifici, oltre agli aspetti intrapsichici, a plasmare il processo di crescita e a facilitare od ostacolare da parte del bambino il superamento di momenti critici del suo sviluppo e il passaggio da una fase a quella successiva.
La psicologia ha individuato come le prime esperienze di relazione con la madre siano cruciali.
L'individuazione di una figura di attaccamento per il bambino crea le premesse in base a cui egli può costruirsi una seriedi immagini e di aspettative su di sè, sulla propria madre e sull'ambiente che lo circonda.
Pattern di esperienze interattive ripetute nel tempo fanno confluire le immagini e le aspettative in una serie di modelli di rappresentazione di sè e degli altri.
Il bambino costruisce queste rappresentazioni a partire dall'influenza che i propri stati emozionali hanno sulla risposta vocale-facciale-posturale della figura di accudimento. Questo tipo di relazione viene detto rispecchiamento.
In questo modo il bambino percepisce che la figura di accudimento ha cercato di significare il suo stato emotivoe di renderglielo più accessibile.
Questo lo renderà gradualmente capace di leggere le sue emozioni e anche di comprendere che i suoi interlocutori hanno dei sentimenti e dei pensieri loro propri. A partire da questo tipo di attaccamento, che si definisce sicuro, il bambino beneficierà di una condizione idonea all'esplorazione del mondo circostante e favorevole al riconoscimento delle proprie emozioni.
Lo sviluppo della capacità del bambino di riconoscere i propri stati emotivi, di esserne in contatto e di utilizzarli nella vita di relazione dipende quindi da una buona sintonizzazione e relazione con la figura di accudimento. Si ciò avviene si ha quella che Fogary chiama mentalizzazione.
Secondo Fogary, agire in modo funzionale nella propria vita reale comporta il contatto e la consapevolezza dei propri sentimenti. Alcune relazioni di accomodamento, però, possono essere disfunzionali e portare alla patologia.
Una relazione con un genitore che minimizza gli stati e le reazioni affettive del bambino potrebbe condurre l'individuo adulto a ripiegarsi su di sè e a non tollerare il punto di vista altrui sentito come minaccioso perchè svalutante i propri sentimenti e le proprie emozioni: questi individui tenderanno a mantenere un rigido confine emotivo tra sè e gli altri. Al contrario, un genitore che enfatizzerà oppure che risponderà in modo incostante e incoerente agli stati emotivi del bambino potrebbe portare la persona a essere confusa e incerta rispetto alle proprie esigenze e ai propri affetti.
Queste persone spesso tenderanno a essere ipervigili, molto acuti e sensibili rispetto alle reazioni emotive e comportamentali degli altri, senza avere la possibilità di fare esperienza in modo coerente dei propri interni, regolandoli e organizzandoli.
Questi pattern di esperienza ripetuta si deniniscono modelli operativi interni e sono modelli che il soggetto metterà in atto in tuttele sue relazioni future, anche in quella che si instaurerà tra paziente e operatore. L'operatore dovrà essere in grado di riflettere sul fatto che queste reazioni del paziente e del tipo di interazione che si instaura con lui sono determinate dalla particolare storia di relazione che questa persona ha vissuto e che vengono da lui riproposte.
Le esperienze dolorose infantili non sono necessariamente causa di una psicopatologia, purchè so verofochino all'interno di un ambiente sensibile e recettivo. Per ambiente sensibile e recettivo si intende un ambiente che possa fungere da contenitore per gli stati di sofferenza e di angoscia, fisica e corporea, che un bambino molto piccolo può provare; l'ambiente materno deve essere in grado di accettare e interloquire con queste sensazioni di disagio de bambino, senza farsene sopraffare, e di fare quanto è possibile per attenuarle. in modo affine dovrebbe accadere in quelle professioni , come l'infermiere e l'educatore, che richiedono una relazione di tatto nei confronti di quei fattori psichici e corporei di fatto inscidibili nell'essere umano.
In sintesi, la mancanza di un contesto familiare che sappia modulare e tollerare gli affetti del bambino può favorire una difficoltà nella regolazione dei segnali affettivi.
Il bambino e poi l'adulto traumatizzato non riuscirà a tollerare le emozioni e a servirsene per ottenere informazioni in modo da orientarsi e agire in modo funzionale nel mondo e svilupperà così stati patologici tra i più vari.

L'ATTEGGIAMENTO E LA RELAZIONE DELL'OPERATORE DI FRONTE ALLA SOFFERENZA PSICHICA


Entrando in relazione con un paziente, figure professionali come l'infermiere e l'educatore percepiscono sentimenti, emozioni, sensazioni corporee diverse e specifiche a seconda dell'utente e anche a seconda del proprio stato emotivo.
Gli schemi infantili di organizzazione mentale e di relazione persistono nella vita adulta, nel senso che il passato si ripete nel presente.
Il paziente, senza esserne consapevole, rimette in atto la tipologia di relazione a lui nota e così dal comportamento e dallo stile di interazione si possono ipotizzare le relazioni patologiche del passato: questo si chiama fenomeno del transfert e lo mutuiamo dal pensiero psicanalitico laddove è inteso come elemento fondante il processo di cura.
Nei pazienti che soffrono psichicamente e fisicamente, questo fenomeno di ripetizione sarà molto più marcato e visibile ogniqualvolta essi instaureranno una relazione significativa. Un altro elemento centrale nel lavoro di infermieri ed educatori è quello della dimensione dell'osservazione e dell'ascolto. L'osservazione così come l'ascolto sono dimensioni imprescindibili per chi si occupa di relazione con la sofferenza in quanto preziosi strumenti di conoscenza e di riflessione. Le emozioni e le impressino iderivate dal contatto con il paziente andranno condividse e confrontate con quelle degli altri membri dell'équipe.
Avendo a che fare sia con paziemti ospedalizzati sia ambulatoriali il carico di angoscia e spesso le sensazioni di impotenza che l'operatore può sperimentare sono di notevole intensità e non gestibii in una dimensione individuale. Nel caso in cui l'operatore sia in grado di mettersi in una posizione di ascolto e di osservazione non giudicante, paziente e rispettosa, avrà la possibilità di dare voce a quello che davvero il paziente in quel momento sente di esprimere; questo atteggiamento contribuisce a far sentire al paziente che vi è disponibilità a far circolare affetti e ad accoglierlo secondo i suoi bisogni e le sue necessità. La posizione dell'ascolto sottende una curiosità costruttiva verso quello che pensa e percepisce il paziente; l'utente deve poter sentire che noi siamo lì ad ascoltare proprio lui, le sue parole e i suoi comportamenti anche se bizzarri, spesso inadeguati, molte volte inquietanti. Non è sicuramente immediato e facile porsi in un tale atteggiamento di fronte alla sofferenza; l'urgenza di dover fare qualcosa spesso ce lo impedisce. In sostanza, questo atteggiamento comporta la capacità di gestire la nostra curiosità e il nostro desiderio di sapere per lasciare emergere, proprio dalla spontaneità del paziente, ciò che in quel momento egli sente di comunicarci.
Quindi le sue parole e richieste ripetitive si possono intendere come espressione delle emozioni e dei bisogni che in quel momento egli sta provando.
L'operatore cercherà non tanto di attenersi al circuito di botta e risposta, ma tenterà, se possibile, di nominare, di rendere in parole ciò che avviene ad altri livelli di comunicazione. Nominare vuol dire rendere esistente qualcosa: questi pazienti si trovano a dover vivere una situazione in parte spersonalizzante come è quella della comunità o quella del ricovero: la sensazione di dover dipendere interamente da un altro che possiede la loro vita mentale e/o fisica non è facile da accettare e quindi le loro richieste sono spesso la modalità esistenti e devono perciò essere ripetute in modo coatto.
Dare quindi un nome alle cose: dire, ad esempio, ad un paziente "mi sembra stanco... arrabbiato..., comprendo che possa essere brutto dipendere dagli altri " permette, secondo Ferruta, di aiutarlo a trovare un nome e una modalità di esprimere quello che prova.
Nominare vuol dire ripetere, riformulare per dare esistenza e dignità personale a quello che il soggetto dice sotto forma di richiesta. La figura dell'infermiere, così come quella dell'educatore, si trova in una posizione particolare in quanto vive il quotidiano con i pazienti e ne condivide lw pratiche di vita. La comunicazione verbale con questi pazienti non è necessariamente il canale prioritario della relazione: piuttosto, il rapporto quotidianoche infermieri ed educatori intrattengono e le azioni intime che lo costellano saranno il terreno relazionale d'elezione.
A questo propositi, lo psicanalista Racamier ha parlato di azioni parlanti: sono quegli interventi nella vita quotidiana del paziente svolti dai curanti oer comunicare qualcosa che le regole in quel momento non sarebbero in grado di veicolare. Infine vorremmo approfondire l'attenzione che gli operatori devono porre al controtransfert evocato in loro dal contatto con i pazienti.
Lavorare a contatto con angosce catastrofiche, con la persistente sofferenza fisicia e/o psichica dei pazienti costituisce spesso un'esperienza perturbante ed è per questo necessario che l'operatore sia in grado di riflettere e monitorare le sensazioni e le emozioni suscitate dalla relazione con loro: questa può evocare qualcosa di doloroso e vulnerabile che facilmente ciascuno di noi ha provato in qualche momento particolarmente difficile della sua vita.
A conclusione di questo discorso, va sottolineata la necessità di una formazione psicologica rivolta all'infermiere/educatore in modo tale che diventi progressivamente esperto e abile nel riconoscere le emozioni.

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