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La performance corretta per il rischio e l’allocazione del capitale


Lo scopo ultimo del processo di misurazione e gestione dei rischi dovrebbe essere quello di giungere a un’allocazione del capitale che porti alla massimizzazione del valore di mercato dello stesso. Ciò implica allocare il capitale tra le diverse attività della banca sulla base di un criterio di redditività corretta per il rischio. Non si deve pensare a un’allocazione fisica tra le diverse unità; infatti il capitale di rischio della banca risulta investito, indistintamente dal capitale di debito, nel complesso dell’attivo bancario. Si tratta piuttosto di un’allocazione ideale del capitale intesa come capacità di sopportare perdite.
Questa ripartizione ideale condiziona lo sviluppo delle differenti attività della banca; infatti, una riduzione del capitale allocato a una data attività comporterà di fatto una riduzione del peso di quell’attività nel portafoglio bancario, con conseguente riduzione delle risorse –umane e materiali- a essa destinate.
Questo processo di allocazione ideale del capitale avviene sulla scorta di indicazioni di redditività corretta per il rischio derivanti dalle diverse attività. Mentre però è relativamente semplice costruire questi indicatori per attività omogenee, come quelle di negoziazione, risulta straordinariamente complesso effettuare confronti omogenei tra attività radicalmente diverse (quali quelle di prestito, di negoziazione, di gestione del risparmio, di effettuazione di servizi di pagamento).
L’allargamento delle attività consentite alle banche (sancito dal testo unico del 1993) ha reso potenzialmente più complessa la costruzione di indicatori di redditività corretta per il rischio atti a guidare il processo di crescita della banca tra attività molto differenziate.
Nb: La riallocazione delle risorse può tuttavia presentare frizioni tecniche e organizzative non indifferenti; ad es: se in un comparto di attività ha una redditività corretta per il rischio insoddisfacente e questo dato persiste nel tempo, l’alternativa sarebbe quella di abbandonare o quanto meno ridimensionare tale attività. Tale decisione può tuttavia scontrarsi con forti resistenze interne legate alla gestione del personale, alle pressioni del management, all’esistenza di una struttura di sportelli, etc, oltre che "bruciare" un patrimonio immateriale di avviamento ragguardevole e difficilmente reversibile.
Il processo di allocazione del capitale prevede revisioni periodiche del capitale allocato; tali revisioni servono, oltre a rivedere l’allocazione sulla base di dati aggiornati di redditività corretta per il rischio, verificano che non vi siano stati scostamenti eccessivi tra il capitale allocato e quello effettivamente consumato (intendendo con ciò il rischio assunto).
Mentre può apparire ovvio che la banca non debba assumere rischi in eccesso rispetto a quelli sopportabili dalla propria struttura patrimoniale, anche la situazione opposta presenta pericoli. Infatti, un’unità che non utilizza il capitale allocato, non assumendo il rischio preventivato, si mette nelle condizioni di non apportare il contributo preventivato alla redditività complessiva.
Quando le banche parlano di free capital intendono proprio riferirsi a risorse patrimoniali che, sulla base degli impegni derivanti dai requisiti patrimoniali o da misurazioni interne, risultano ancora disponibili per l’assunzione di rischio.
L’adozione a livello internazionale degli standard patrimoniali suggeriti dal Comitato Basilea, ha contribuito a sviluppare la sensibilità per il tema dell’allocazione del capitale. Le normative del Comitato Basilea, recepite in Italia, devono perseguire un delicato equilibrio tra accuratezza della misura proposta e applicabilità operativa (banche di dimensioni medio-grandi hanno col tempo sviluppato modelli interni più sofisticati di quelli indicati dalla normativa di vigilanza, per la misurazione e gestione dei rischi di credito e di mercato). La conseguenza naturale di questo processo è stata la richiesta inoltrata alle autorità di vigilanza di poter utilizzare modelli interni in luogo di quelli regolamentari per assolvere ai requisiti patrimoniali; il Comitato Basilea ha accolto la richiesta richiedendo tuttavia la validazione dei modelli interni con un test di verifica e imponendo comunque un coefficiente di maggiorazione del requisito patrimoniale per coprire il c.d. model risk (ovvero il rischio che il modello interno non sia formulato adeguatamente).
L’evoluzione del processo di allocazione del capitale ha prodotto conseguenze rilevanti anche sulla struttura organizzativa delle banche, specie nelle istituzioni di dimensione maggiore. La soluzione più comune di sviluppo organizzativo del processo di allocazione prevede l’istituzione di 2 organismi:
Comitato per l’allocazione del capitale (di natura strategica), operando a stretto contatto con l’alta direzione, dovrebbe formulare e dare attuazione alle linee strategiche del processo di allocazione del capitale: stabilendo i limiti di capitale a rischio complessivi per la banca, determinando l’obiettivo di redditività degli azionisti, formulando i criteri alla base del processo di allocazione e riesaminando periodicamente la strategia di assunzione del rischio in base ai risultati di redditività corretta per il rischio.
Comitato per la gestione del rischio (di natura tecnica) che definisce i criteri quantitativi e qualitativi per la misurazione del capitale a rischio e certifica le misure fornite dalle diverse unità della banca
Non sempre questa separazione tra organo strategico e organo tecnico è presente nella struttura organizzativa; talvolta è presente solo il secondo, mentre le decisioni strategiche di allocazione restano in capo direttamente al CdA. In altri casi si riscontra un unico organismo di natura mista strategica e tecnica (erede diretto dell’Asset Liability Committee, che, in molte situazioni ha rappresentato la manifestazione organizzativa del processo di controllo dei rischi di interesse e di liquidità del portafoglio bancario).

Tratto da IL SISTEMA FINANZIARIO di Alessia Chiovaro
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