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Melodia a picco



Il più suggestivo dei modelli melodici primitivi può essere definito MELODIA A PICCO, il suo carattere è selvaggio e violento: dopo un passaggio brusco alla nota più alta di tutta la gamma, in un fortissimo quasi urlato, la voce precipita in basso con salti, cadute o slittamenti verso una pausa, un pianissimo cantato su una o due note bassissime, poi con un balzo, la melodia recupera la nota più alta per ripetere il movimento a picco ogni qualvolta è necessario. Nella sua forma meno emozionale e più melodiosa questo stile richiama le esplosioni incontenibili, le grida quasi inumane di gioia selvaggia o di rabbia da cui probabilmente deriva. Questo tipo di melodia si ritrova intatto nel suo andamento originario tra gli indigeni australiani, a metà strada tra l’ululato e il canto. E’ vero che è impossibile trascrivere questo precipitare casuale e improvviso di note nell’accorta notazione occidentale, ma è anche vero che in quasi ogni parte del mondo esistono altre notazioni più accessibili al nostro pentagramma. Tra tutte ricordiamo le MELODIE A SCALA degli Indiani del Nordamerica, tra queste, piena di pathos nobile e passione, tuttavia contenuta e solenne, appartenente all’insieme più antico di melodie che sono state registrate mediante un fonografo è la melodia degli Zuni del Nuovo Messico che spazia in una gamma di più di 2 ottave ed è organizzata secondo uno schema sostanzialmente per terze. Nel canto popolare coreano, affine a quello giapponese, si trovano chiaramente esempi di melodie a picco.
Tali le riscontriamo anche nelle Caroline nel 1947 durante una veglia, il lamento, sebbene uniforme, seguiva però l’andamento unico della melodia a picco. Il tratto essenziale delle melodie a picco è che esse a tratti riconquistano audacemente l’ottava più alta, ciò è degno di nota in quanto al di fuori delle melodie a picco l’ottava non è assolutamente un intervallo preciso nella musica primitiva.
Le melodie a picco si sono evolute per un processo di consolidamento interno e non per accrescimento o espansione, gli inizi di tale processo furono irregolare bruschi; all’interno dell’ottava, gli intervalli successivi, erano lasciati al caso, senza che vi fosse alcuna idea di scala e di intervallo. A poco a poco il carattere selvaggio e pittoresco lasciò il posto a un’organizzazione compatta con distanze ricorrenti, con una preferenza per le quinte, le quarte e le terze. Le melodie a picco, con l’intonazione forzata della nota più alta e il calo melodico successivo, costituiscono un esempio notevole di cambiamento d’intensità condizionato da fattori fisiologici, un cantante o musicista sa quanto si a difficile intonare una nota alta piano e una nota bassa con forza, ma anche e soprattutto dal fattore emotivo. Tra le altre cose i cambiamenti d’intensità non si verificano di frequente nella musica primitiva. Comunque sia lo schema è sempre lo stesso: la melodia compie continui balzi verso l’alto per raggiungere l’ottava più alta, inoltra all’interno dell’ottava alcuni intervalli discendenti assumono la funzione di fermate obbligatori. Tale posizione fissa ha una doppia funzione: uno schema triadico delle ottave per terze e uno schema tetradico per quarte. Analizziamoli. Una cronologia delle ottave per terze nel mondo primitivo non è possibile, tali melodie si presentano sotto ogni possibile sfumatura, alcune compaiono in maniera radicale altre in posizione di seta e quarta. Le melodie a picco si sono evolute fino a divenire formazioni di una semplice sesta anziché dell’ottava consueta.

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