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Il contratto di lavoro a termine: il governo Renzi

IL CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE: IL GOVERNO RENZI


Il governo Renzi annuncia la grande riforma del mercato del lavoro (cd. job’s act) che si divide in due fasi:

• atto primo:  d.l. n. 34/2014 convertito dalla l.n. 78/2014 riguardante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese 
E’ rappresentato dal d.l. n. 34/2014 convertito dalla l.n. 78/2014 (cd. legge Poletti), modifica l’art. 1 comma 1 del d.lgs n. 368/2001: “è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione…”
E’ stata quindi eliminata la parte delle ragioni oggettive, non c’è più la necessità di una ragione tecnica, organizzativa, sostituiva e produttiva benché di natura ordinaria. Scompare il requisito della necessaria giustificazione del limite di durata nei termini dell’oggettività e temporaneità. 
Il contratto a termine è diventato un contratto acausale per cui non è necessaria la causa e la temporaneità. Questa idea dell’eccezionalità viene recuperata nella seconda parte del comma 1: “…fatto salvo quanto disposto dall'articolo 10, comma 7 (d.lgs n. 368/2001), il numero complessivo di rapporti di lavoro costituiti da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo, non può eccedere il limite del 20 per cento dell'organico complessivo.”
La base di calcolo è rappresentata dai lavoratori a tempo indeterminato. 
Quindi da un lato soddisfa l’esigenza di flessibilità dell’impresa nella misura in cui le imprese non vengono forzate dentro ragioni temporanee (nella maggior parte dei casi sono di natura elusiva e fraudolenta) e dall’altra parte non viene ipotizzato che tutto il mercato del lavoro venga colonizzato dal contratto a termine perchè c’è il limite rappresentato dal 20%.
Con l’ultima parte del comma 1 :“per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato”, si ha un’estensione e una liberalizzazione in quanto la maggior parte delle imprese italiane (95%) hanno meno di 5 dipendenti.
Quindi la tesi della regola rappresentata dall’indeterminatezza del vincolo contrattuale viene superata e la dottrina solleva una questione di legittimità costituzionale.
L’art. 10 comma 7 del d.lgs n. 368/2001 dice che: “l’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.” 
I contratti collettivi sono una fonte concorrente del rapporto di lavoro di natura migliorativa e in molti casi hanno alzato questo limite, arrivando anche a raddoppiarlo. Quindi gli studiosi si sono interrogati se fosse legittimo o meno.

Per evitare che si arrivi a nuovi licenziamenti si chiede alla rappresentanza sindacale di scendere sul piano della flessibilità dell’impiego.

• atto secondo: d.lgs n. 23/2015 in attuazione della l.n. 183/2014 riguardante le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Tratto da DIRITTO DEL LAVORO di Francesca Morandi
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