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L'inesistenza


Tale categoria scaturisce dal contemporaneo operare del principio di tassatività delle cause di nullità e del principio della generale sanabilità delle nullità. L'operare del primo principio palesa che sarebbe tecnicamente inconcepibile e iniquo lasciare senza tutela imperfezioni dell'atto più gravi di quelle per le quali è prevista la nullità assoluta. L'operare del secondo evidenzia che costituirebbe una forzatura sul piano formale, e una ingiustizia su quello sostanziale, estendere il regime di sanatoria delle nullità assolute agli atti che risultano viziati in maniera più grave.

La funzione affidata alla categoria de qua è quella di superare il principio di tassatività e di scavalcare la barriera del giudicato quale causa finale di sanatoria: l'inesistenza giuridica è veramente insanabile e rilevabile in qualsiasi momento, impedendo in modo irrimediabile il prodursi degli effetti dell'atto perfetto e, quindi, il formarsi del giudicato.

Frutto di non recente elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, la categoria dell'inesistenza sfugge tuttora ad una previsione normativa.

Oggi i sicuri casi d'inesistenza sono pochi, anche se non è possibile immaginare tutte le situazioni che la realtà processuale può prospettare. Due casi, certamente diagnosticabili, d'inesistenza della sentenza sono quelli in cui l'atto sia compiuto a non iudice o manchi del requisito psichico minimo della coscienza e volontà.

Altro caso sicuro d'inesistenza viene considerato quello in cui la sentenza sia pronunciata contro soggetti penalmente incapaci, perché esenti dalla giurisdizione.

La categoria dell'inesistenza non è riferibile solo alla sentenza.

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