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Analisi dei videoclip

Il videoclip è un fenomeno comunicativo che rappresenta diversi linguaggi e forme espressive; a partire dalla metà degli anni’70 è diventato un genere audiovisivo autonomo con una capacità espressiva flessibile.
La natura musicale del videoclip ha coinvolto particolarmente i giovani e ha anche influenzato la nascita di un canale televisivo quale MTV.
I luoghi di incontro tra i giovani e i propri idoli non sono più solo sul piccolo schermo, ma soprattutto in Internet.

I generi di videoclip


Le distinzioni in generi si muovono in due direzioni: 
- la prima che cerca di recuperare l’aspetto diacronico ossia il odo in cui le produzioni dei videoclip si sono caratterizzate nel corso degli anni; 
- la seconda è orientata verso il piano dei contenuti.
Peverini individua quattro fasi articolate sulle strategie testuali ed enunciative messe in atto dal videoclip per costruire l’immagine della “star”: 
- la “messa in scena” del corpo  che contraddistingue la nascita dei videoclip ed è condizionata dall’esigenza commerciale di rendere visibile e conoscibile il performer al pubblico; 
- la “manipolazione del corpo” dove il corpo della star è al centro di un processo di risemantizzazione che la rende icona; questo processo è reso più esplicito con l’uso di effetti speciali; 
- la “messa in scena della manipolazione del corpo”rappresenta la fase in cui il pubblico si confronta con tali manipolazioni rese ancora più visibili perché paradossalmente il videoclip risulta più credibile se la falsificazione è più esplicita;
- la “messa in scena dei simulacri del corpo” in cui la star fisicamente irraggiungibile per il pubblico è parzialmente sostituita da un feticcio in grado di colmare la distanza; I video pop sfruttano queste valenze sociali usando feticci, vestiti, automobili, strumenti musicali, strumenti che rappresentano un mondo simbolico raggiungibile solo acquistando il CD.
Wolfe fa una classificazione relativa al contenuto distinguendo tra:
“performance clip” dove viene messo in scena l’happening dell’artista;
“concept video” dove i video sono caratterizzati dalla costruzione di una breve storia.
Lynch propone una classificazione articolata in “performance clip”; “narrative clip” e “antinarrative clip”.

L’enunciazione audiovisiva


Metz considera l’audiovisivo come un linguaggio pluricodico che sfrutta cioè vari codici e secondo Metz il testo audiovisivo è un “sistema” costituito sulla base di una rete di scelte tra diversi codici disponibili per creare significati coerenti.
Nella costruzione del testo ha un ruolo strategico la nozione di “enunciazione” e le strategie enunciative poste dai diversi generi audiovisivi, infatti uno degli aspetti più interessanti del videoclip sono le strategie enunciative impiegate per la costruzione testuale esaltando grazie al montaggio una dimensione autoriflessiva.
Un dibattito negli ultimi anni ha portato a far prevalere soprattutto grazie al semiologo Greimas un interesse per l’enunciazione intesa come “fatto”, mentre l’altro filone intendeva l’enunciazione come “processo”.
Si è assistito così allo sviluppo di una teoria dell’enunciazione concepita come fissazione, all’interno di un testo della concretizzazione e attualizzazione semiotica degli elementi responsabili del prodursi dell’atto comunicativo.
Metz al contrario afferma che l’enunciazione è completamente impersonale e non parla di soggetto enunciatore ed enunciatario, ma di “foyer” o fonte dell’enunciazione e di “cyble” o destinazione e enunciativa. Secondo l’autore infatti l’enunciazione audiovisiva non può avvalersi di meccanismi tipici dell’enunciazione verbale come l’apparato deittico.
Egli elenca undici grandi classi enunciazionali di procedimenti specificamente filmici che rinviano al modo in cui il film “piega su se stesso” ed evidenzia i dispositivi che l’organizzano come testo coerente. In questo caso l’enunciazione visiva sembra riflessiva in quanto ci informa sulle dinamiche del suo prodursi.
Il videoclip esaspera tutti i procedimenti filmici ridimensionando l’efficacia descrittiva di qualsiasi organizzazione delle forme narrative audiovisive ed esaltando la natura autoriflessiva dell’enunciazione enunciata.
Il videoclip anche per la sua breve durata può accostare immagini lontane senza rispettare i principi formali di coerenza narrativa, occupandosi di coinvolgere lo spettatore attraverso il ritmo del montaggio; ciò non può accadere invece per il film che si basa su un sistema narrativo formale.
I principi formati su cui si basa il videoclip non narrativo non sono legati dall’articolazione spazio-temporale, ma sono costituiti dal raggruppamento di immagini e quindi è fondamentale il montaggio spesso scandito dalla partitura musicale, si compone in ellissi temporali, ripetizioni, “overlapping editing” ( particolare effetto di montaggio in cui la parte finale dell’azione rappresentata in un’inquadratura viene nuovamente mostrata in quella successiva) accelerazioni e slow motion. In questa forma di comunicazione il montaggio non è nascosto, ma esaltato. (clip vuol dire appunto ritagliare).

Format e palinsesti      


Nel primo trentennio la televisione italiana perseguiva il triplice fine di “informare, educare, intrattenere” 
Negli anni 80 il passaggio dalla paleo televisione alla neotelevisione ha portato al rinnovamento di linguaggi, generi e formati e la mission della televisione cambia anche in relazione alla concorrenza.

Com’è fatto un format?


Il termine “format” è utilizzato nel lessico televisivo in tre accezioni: come copione o modello di programma, come la durata di un programma televisivo e la dimensione dell’immagine sullo schermo.
Il copione del programma televisivo è articolato intorno al concept che è la descrizione su carta dell’idea originale e degli elementi strutturali del programma.
Oltre al concept un format prevede informazioni tecniche per la riproduzione e l’adattamenti come i software (sigle grafiche computerizzate), il fottage (estratto del programma) e la Bible che definisce il contesto del programma ossia il tipo di conduttore, la fascia oraria, l’audience che il programma si propone di raggiungere.
Un format non è necessariamente subito messo in onda, spesso il “paper format” viene registrato in attesa della commercializzazione.

Il format: la televisione come industria culturale


Con la neotelevisione la logica del flusso diviene dominante. Formati e generi tipici della paleotelevisione fanno parte della neotelevisione e quindi la competizione tra emittenti pubbliche e private si incentra sulla corsa ai diritti d’uso.
La produzione nella fase paleotelevisiva era prodotta direttamente dall’emittente o appaltata a terzi, gli acquisti dall’estero si limitavano nei prodotti seriali come i telefilm ad esempio Lessie, mentre altri programmi provenivano da una sorta di proto-format cioè modelli di programmi già realizzati all’estero; Con la neotelevisione la fase dell’ideazione dei programmi si sposta dall’emittente all’azienda esterna secondo la logica dell’outsourcing  che caratterizza la moderna organizzazione aziendale.
La case che producono idee per la televisione compiono indagini di mercato e offrono programmi di sicuro godimento.
Il mercato riguarda soprattutto “programmi a utilità ripetuta” cioè quei prodotti come le soap e i telefilm che l’emittente può mandare in onda senza particolari riferimenti all’attualità, mentre i “programmi ad utilità istantanea” come i notiziari o i quiz sono maggiormente legati all’attualità e diventano subito obsoleti.
Nella televisione “formattata” anche quei programmi apparentemente italianissimi come Un posto al sole nascono dall’indigenizzazione cioè dall’adattamento al contesto italiano di format stranieri.
Prodotti più innovativi si possono ottenere con la pay-TV  dove vengono proposti nuovi generi e nuovi linguaggi perché questa non sopravvive grazie agli ascolti, ma dagli abbonamenti.

Dal format al video: come si produce un programma televisivo


Per realizzare un programma televisivo il primo passo è l’ “ideazione” cioè trovare l’idea per il programma  e descrivere il concept sviluppandolo e vendendolo all’emittente televisiva.
Questa è la fase della “progettazione operativa” che consiste in alcuni momenti essenziali: il “pitch” ovvero il lancio del programma verso un emittente allo scopo di venderlo; bisogna poi analizzare le necessità logistiche, tecniche e artistiche per la realizzabilità del programma e definire il budget operativo.
Se l’emittente accetta il pitch si realizza un “numero zero” ossia una puntata di prova dai costi contenuti e di qualità inferiore, o con una “puntata pilota” o con una “dimostrazione” cioè la realizzazione di alcune sequenze significative del programma o infine si inizia direttamente con la fase di “preproduzione” che consiste nel pianificare le attività e organizzare le risorse umane e materiali necessarie alla registrazione.
La realizzazione del programma televisivo si articola in tre fasi: la preproduzione, la produzione e la postproduzione. Se è l’emittente ad ideare il programma questa fase è compresa nella preproduzione.
Questa fase comprende attività come la scelta dei mezzi tecnici e degli spazi, l’allestimento dell’impianto scenico e tecnico, l’elaborazione del piano di produzione, la scrittura dei testi, l’eventuale scelta dei personaggi e l’acquisto dei diritti di riproduzione per i brani musicali o i filmati.
La fase di produzione consiste nel momento delle riprese; dopodiché vi è la fase di postproduzione dove si provvede al montaggio audio e video, all’inserimento dei titoli, delle grafiche, dei marchi, dell’elaborazione di immagini e audio, dopo questi trattamenti si passa all’ “assemblaggio” dove vengono inserite le interruzioni pubblicitarie e gli eventi brevi.
Il programma pronto viene collocato nel palinsesto e se non è subito trasmesso passa al magazzino programmi per essere utilizzato al momento opportuno.
Queste fasi variano in base al programma ad esempio nei programmi in diretta la post-produzione è precedente o contemporanea alla produzione.

L’ultraformat: il reality show


Il Grande Fratello è il reality show per eccellenza che è la versione  italiana del Big Brother dell’olandese Endemol, ma prima alcuni elementi del programma erano apparsi nella Tv tradizionale.
La real-tv invece registra eventi nel loro “naturale” svolgimento presentandoli al telespettatore con occhio neutro come Candid Camera o Paperissima o Real Tv che rappresenta riprese amatoriali.
Il reality-show si distingue dalla Tv-verità e dalla real-Tv, questo produce una “televisizzazione della realtà” spostando o annullando il confine tra il televisivo e il reale, la televisione non parla più della realtà esterna, ma di se stessa e diventa “metatelevisione”.
Il macrogenere del reality presenta generi diversi: l’infotainment, il talk-show, la fiction e il game show. 
Nel reality la vita privata di persone comuni è raccontata come una soap opera con interventi degli autori che riscrivono e montano le storie “vere” secondo precise strategie enunciative e narrative.
E in questo caso è fondamentale la postproduzione che crea gli episodi da cui scaturiscono i conflitti e gli spunti che alimentano il dibattito con il pubblico.
Con il reality la televisione diviene una “finestra su se stessi” perché porta soddisfare i bisogni psicologici dei protagonisti al di là del desiderio di apparenza.
Nei reality prevale un regime semiotico “indicale” più che “iconico” basato non sulla realtà, ma sulla contiguità fisica tre il mondo rappresentato e il mondo dello spettatore. Alla metafora si preferisce la metonimia ciò che appare in video non sta per la realtà, ma è percepito come parte della realtà.

Che cos’e’ il palinsesto?


Il termine “palinsesto” ha una genesi antica perché deriva dalla parola greca palimpsestos che letteralmente vuol dire “raschiato di nuovo” che rinvia all’abitudine di raschiare manoscritti per scrivervi di nuovo.
L’organizzazione dei palinsesti stabilisce un mutamento dalla paleo alla neotelevisione infatti fino agli anni 70 i programmi erano concepiti come blocchi ben distinti con una distinzione tra generi.
Dalla fine degli anni 70 i programmi non sono più blocchi e il palinsesto non è più una griglia ma un “flusso” e la programmazione occupa l’intera giornata, non ci sono più le ripartizioni in generi che sono più ibridi e il tempo diviene dinamico.
Con l’avvento dell’emittenza privata si afferma una logica del flusso verticale dove i programmi fluiscono l’uno dopo l’altro e le sigle brevi prendono il posto dei siparietti.
L’impaginazione del palinsesto segue una logica del flusso verticale con una successione concatenata di appuntamenti e una logica del flusso orizzontale con il passaggio dall’appuntamento settimanale all’appuntamento quotidiano.
Dagli anni ottanta la televisione mira a soddisfare l’esigenza di evasione del pubblico.
Si passa da un palinsesto di tipo direttivo a un modello strutturato in funzione dell’audience; il palinsesto diventa il dispositivo dove convergono politiche di programmazione televisiva.

Dal palinsesto annuale al palinsesto operativo


Costruire un palinsesto consiste nel disporre in successione un insieme di programmi di una certa durata all’interno di un intervallo di tempo secondo uno schema-disposizione.
Palinsesto annuale -> viene tracciato un profilo schematico della programmazione in linea con la strategia dell'emittente.
Palinsesto stagionale -> vengono definiti la tipologia e i titoli  dei programmi abbracciando un arco di tempo pari a circa tre mesi e collegandosi ai palinsesti precedenti. Vi sono alcune fasce di programmazione e alcuni programmi riproposti. Per le televisioni commerciali questo palinsesto è fondamentale.
Palinsesto  mensile e settimanale -> definiscono con precisione i titoli e gli orari dei vari programmi e vengono elaborati per la stampa come mezzo di informazione e promozione degli stessi presso i telespettatori. Definiscono con precisione i titoli di tutti i programmi e l’orario di trasmissione di ciascuno.
Palinsesto operativo -> documento a uso interno in cui viene indicata la sequenza di tutti i minimi segmenti di programmi trasmessi (broadcast centre) corredata delle informazioni relative all’orario di inizio e di fine

Il contenuto: la scelta dei programmi


L’impresa televisiva deve scegliere il programma e seleziona dall’assortimento in base all’ “ampiezza” cioè le tipologie di programmi trasmessi e la “profondità” cioè i titoli che rientrano in ciascuna tipologia. 
La televisione generalista sceglie assortimenti ampi perché deve raggiungere più persone e il più vasto numero di consumatori possibili ai fini della pubblicità, mentre la “televisione differenziata” finanziata dagli abbonamenti predilige la profondità offrendo più programmi.
Le imprese televisive offrono programmi eterogenei: informazione; fiction;intrattenimento; sport; culturali; di promozione e altri servizi. Il contenuto del palinsesto è influenzato dal budget , dall’accesso al mercato, dalle potenzialità di ascolto dei programmi, dall’immagine e identità di rete.
Il budget incide sulla possibilità di acquisto di programmi costosi e con alte potenzialità di ascolto, ma talvolta l’accesso al mercato è limitato da quelle imprese televisive che stipulano accordi ed esclusive con le case produttrici escludendo la concorrenza.
Sulla scelta dei programmi influenza anche l’identità della rete determinata sia dal target che dal tipo di pubblico che si vuole raggiungere, o dallo stile , infatti spesso un errore di scelta dei programmi può intaccare l’identità della rete. 

La forma: il tempo televisivo


Il consumo televisivo varia qualitativamente e quantitativamente a seconda dell'ora del giorno della settimana e del periodo dell'anno.
- Giorno = il consumo televisivo presenta due picchi, uno in corrispondenza della fascia di mezzogiorno e uno durante la fascia serale (prime time). Il palinsesto televisivo suddivide la programmazione in tre fasce orarie: 
day time (dal mattino alla sera- ascolto medio fatto per lo più di pubblico femminile, bambini, ragazzi e pensionati), 
prime time (ora di cena-massimo ascolto e pubblico misto) 8.30/21 c’è una fascia “ACCESS” fa da traino
night time (fascia notturna-ascolto minimo e pubblico maschile e adulto).
- Settimana = il consumo televisivo si differenzia a seconda dei giorni (lavorativi-fine settimana). 
Nei primi il pubblico del day time è composto da persone non occupate, nel fine settimana invece vi è un pubblico più completo. Tale distinzione viene mantenuta nel palinsesto che fornisce una programmazione settimanale e una per il week-end. Il day time del fine settimana è scandito da un ritmo settimanale; il prime time è caratterizzato da un modulo settimanale.
- Anno = il consumo televisivo varia anche in base alle stagioni e ai periodi lavorativi: la stagione autunnale (ottobre-febbraio) e la stagione primaverile (marzo-metà giugno) che presentano un audience abbastanza elevato e la stagione estiva (metà giugno-settembre).

La logica: gli obiettivi economici


Per potenzialità di ascolto si deve distinguere l’ “audience” cioè il numero medio di ascoltatori di una specifica emittente televisiva in un intervallo di tempo prefissato; e lo “share” è il rapporto tra l’audience di un emittente e l’audience del totale delle emittenti in un intervallo di tempo prefissato, la “penetrazione” cioè il rapporto tra l’audience di una emittente e l’universo di riferimento.
La distinzione tra audience e share è fondamentale per sfruttare le potenzialità di ascolto di un programma.
L’impresa televisiva finanziata con risorse pubbliche privilegerà la massimizzazione dell’accesso offrendo un servizio fruibile dalla maggior parte dei cittadini, questa può essere garantita da un palinsesto “per tutti”.
Nel caso italiano la tv pubblica con finanziamento misto di canone e pubblicità e una televisione commerciale erogatrice di servizio pubblico portano ad una coincidenza tra massimizzazione dell’accesso e massimizzazione dell’ascolto; le imprese tv a pagamento finanziate dall’abbonamento hanno come obiettivo la massimizzazione della fruibilità  infatti alla pay-tv si accede pagando direttamente per i programmi e i servizi offerti e quindi in cambio si ha una fruizione più personalizzata.

Strategie più utilizzate per sfruttare al massimo le potenzialità d’ascolto dei programmi consiste:
- “Traino” nel collocare un programma dopo un altro programma rivolto allo stesso target in modo che il primo faccia da “traino” al secondo permettendo di portare con sé parte dell’audience. 
- “hammocking”: Alcune volte si inserisce un programma debole tra programmi forti per sfruttare l’effetto sia di traino che di attesa.
- “bridging” che consiste nel collocare programmi con un’audience fedele a cavallo degli orari di inizio e di fine di programmi concorrenti per minimizzare i flussi in uscita.
Nella logica concorrenziale è importante:
- la strategia della “controprogammazione” ossia oppone a un programma con ascolti sicuri un programma destinato ad un target diverso, 
- quella della programmazione competitiva  con un programma altrettanto forte destinato allo stesso target.
Nei casi di concorrenza accesa si ricorre:
- “stunting” cioè un improvviso cambiamento della logica di programmazione per spiazzare i programmi di successo delle altre emittenti. 
- “checkerboarding” detto ombrello che consiste nel posizionare nella stessa fascia oraria un programma ogni giorno differente 
- “stripping” cioè il posizionamento a striscia quotidiana.
- “blocking” cioè l’incasellamento in sequenza di programmi con target omogenei o ai cosiddetti “sin-off” cioè i programmi costruiti intorno a personaggi divenuti famosi in altre trasmissioni.

Oltre il palinsesto: verso la televisione “personalizzata”


Negli ultimi anni in Italia ci sono stati modelli dell’offerta televisiva provenienti dagli Sati Uniti e quindi si parla di “americanizzazione” della televisione italiana.
Le nuove modalità di trasmissione via cavo, satellite e Internet si sono affiancate alla trasmissione via etere portando alla moltiplicazione dei canali e migliorando la qualità di immagine e suono.
Con queste nuove tecnologie si è sviluppata la pay-TV che introduce il modello specializzato e offre un palinsesto per specifici segmenti della popolazione e si concentra su una tipologia specifica di programmi. 
Si è avuta la multidiffusione ovvero dalla trasmissione degli stessi programmi in fasce orarie diverse a scelta del cliente. Il palinsesto è diventato un “supertesto” ricostruibile dall’utente in base alle sue esigenze, questo porta alla personalizzazione del consumo televisivo.
Anche in Italia oltre alla pay-tv si stanno diffondendo i modelli “pay-per-view” cioè si paga per vedere singoli programmi, e “video-on demand” dove l’impresa televisiva offre i programmi consentendo allo spettatore di sfruttare le funzioni tipiche del videoregistratore con l’aggiunta di alcuni servizi interattivi che rappresentano anche il primo passo verso la televisione personalizzata nella quale lo spettatore diventa coautore del suo palinsesto.

Interattività, multimedialità e ipertestualità nell’era della convergenza digitale


La “convergenza digitale” è una rivoluzione tecnologica che sta modificando l’industria culturale e non comporta la semplice traduzione di un messaggio da un codice all’altro, ma l’introduzione di un nuovo linguaggio che influenza il contenuto dei prodotti. 
Con Internet si sta affermando un modello di comunicazione circolare o reticolare all’interno del quale l’individuo riveste il ruolo di emittente e ricevente.
Il modello di questa comunicazione è la rete globale; se la comunicazione di massa tradizionale è monodirezionale con i new media diventa bidirezionale aggiungendo al canale da uno-a-molti il canale del ritorno con la possibilità di rispondere in tempo reale.
Questo dibattito riguarda il concetto di “multimedialità” con cui si intende una comunicazione che coinvolge diversi mezzi o creazione di un prodotto comunicativo che utilizza diversi codici espressivi e quindi più che altro si potrebbe parlare di medium “pluricodico”.
Con le nuove tecnologie i testi diventano ipertesti , questo termine è stato coniato da Nelson per indicare un testo organizzato in blocchi o unità di lettura collegati tramite link elettronici. 
L’integrazione tra i mezzi di comunicazione sfocia nelle strategie “multimediali”.
La produzione multimediale o “crossmediale” consiste nel creare prodotti audiovisivi in funzione della fruizione su diversi mezzi di comunicazione.

Tratto da FARE COMUNICAZIONE, TEORIA ED ESERCIZI di Anna Carla Russo
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