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Caratteristiche e limti della pena pecuniaria


La pena pecuniaria reca con sé un limite congenito => essa è chiaramente suscettibile di adeguarsi con grande precisione alla gravità del reato, e anche alla capacità criminale del reo, ma è altrettanto chiaro che l’afflitività con cui essa è sentita dal reo dipende sia dal suo ammontare sia dalle condizioni economiche del soggetto che la subisce.
Alla proporzione “oggettiva” tra reato e quantum di pena non corrisponde sempre una proposizione “soggettiva” tra reato e afflittività percepita. Ad attenuare tale grave inconveniente è dettato oggi l’art. 133 bis c.p. che dispone: “nella determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda il giudice deve tener conto, oltre che dei criteri indicati dall’art. precedente, anche della condizioni economiche del reo. ║ Il giudice può aumentare la multa o l’ammenda stabilite dalla legge fino al triplo o diminuirle Fino ad 1/3 quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa”.

Dunque, le condizioni economiche del reo devono necessariamente incidere nella determinazione intra-edittale della pena pecuniaria e possono, inoltre, assumere una rilevanza anche extra-edittale quando la 1° sia insufficiente. Tale soluzione non è peraltro priva di inconvenienti. Molti istituti trovano  il loro campo applicativo delimitato proprio attraverso il quantum di pena irrogata in concreto: es. la sospensione condizionale. Ebbene, le condizioni economiche proprio in quanto influiscono sulla misura della pena irrogata dal giudice, vengono così indirettamente ad influire sull’ambito applicativo di istituti che dovrebbero invece dipendere esclusivamente dalla gravità del reato come espressa dalla quantità di pena irrogata.
Es. una persona ricca può non usufruire della sospensione condizionale della pena pecuniaria in quanto l’ammontare di quest’ultima ecceda, in ragione delle condizioni economiche, il limite di concendibilità della sospensione fissato dalla legge quale espressione della gravità del reato.

L’esecuzione della pena pecuniaria


Altro problema => l’esecuzione della pena pecuniaria. Allo scopo di agevolare il pagamento della pena pecuniaria è dettato l’art. 133 ter c.p. che dispone: “ il giudice (..) può disporre, in relazione alla condizioni economiche del condannato, che la multa o l’ammenda venga pagata in rate mensili da 3 a 30. ciascuna rata tuttavia non può essere inferiore a 15.49 €”.

Inoltre, nell’ip. in cui il reo non adempia spontaneamente all’obbligazione di pagare la somma corrispondente alla pena pecuniaria inflitta, la lex prevede l’assoggettamento del reo ad un procedimento di esecuzione forzata.
È anche prevista una speciale obbligazione civile in capo a soggetti legati da determinati rapporti con il reo, avente come contenuto il pagamento della somma corrispondente alla pena pecuniaria inflitta al reo e subordinata alla condizione della insolvibilità di quest’ultimo. In particolare:
l’art. 196 c.p. => prevede l’obbligazione civile per le multe e le ammende inflitte a persona dipendente, sempre che si tratti di violazioni di disposizioni che l’obbligato era tenuto a fare osservare dal proprio dipendente;
l’art. 197 c.p. => prevede analoga l’obbligazione civile a carico delle persone giuridiche per i reati commessi dai propri di pendenti, sempre che si tratti di violazioni degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole all’interno della persona giuridica.

Conversione della pena pecuniaria


Nonostante tutto ciò, niente esclude però che l’esecuzione si riveli infruttuosa per la insolvibilità del condannato. In caso di tale eventualità, l’ordin. penale non “si rassegna”, ma al fine di assicurare l’effettività della minaccia delle pene comminate ed irrogate adotta il sistema della conversione della pena pecuniaria => art. 136 c.p.: “le pene della multa e dell’ammenda, non eseguite per l’insolvibilità del condannato, si convertono a norma di legge”.
Inoltre, l’art. 102 L.689/1981 individua quali “pene di conversione”: la libertà controllata e il lavoro sostitutivo di utilità sociale, le quali prendono il posto delle pene pecuniarie secondo un rapporto di conversione fissato dalla legge tra importo monetario e giorni di libertà controllata o di lavoro sostitutivo.
Anche l’art. 55 D.Lgs.274/2000 prevede per la conversione delle pene pecuniarie irrogata dal giudice di pace nelle pene del lavoro sostitutivo o della permanenza domiciliare.

Il meccanismo della conversione, per cui una pena pecuniaria si “trasforma” in pena parzialmente limitativa delle libertà personale, costituisce la caratteristica essenziale che distingue la pena pecuniaria criminale da quella amministrativa: quest’ultima, infatti, non è suscettibile di conversione.

la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità

sono insieme all’ammenda e alla multa, le pene principali previste per i pochi reati attribuiti oggi alla competenza del giudice di pace.
La permanenza domiciliare => comporta “l’obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza, accoglienza nei gg. di sabato e domenica”, tuttavia per determinate esigenze familiari e consimili, la pena può anche essere eseguita in gg. diversi della settimana, oppure, a richiesta del condannato, anche continuamente.
Il lavoro di pubblica utilità => può essere applicato solo su richiesta del reo.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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