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Cartesio


La psicologia aristotelica (la sua concezione di anima) è dominante per tutto il Medioevo e umanesimo/rinascimento. Colui che apre la filosofia moderna (rilevando la centralità del soggetto), e introduce un concetto radicalmente nuovo di anima è Cartesio. In Aristotele il de Anima è parte della fisica, e l'anima è considerato il modo universale in cui funziona la vita a vari livelli (al livello delle piante la sua funzione è vegetativa, al livello degli animali è sensitiva, al livello degli uomini intellettiva). Invece con Cartesio compare per la prima volta il concetto di anima come sostanza separata, dunque non una forma universale (come la pensava Aristotele), ma un Ego (Io) --> l'anima è uno spazio di interiorità.

Nella prima parte del discorso sul metodo Cartesio propone la sua storia (parlando in prima persona singolare) e proponendo il suo metodo soggettivo.
Come fa ad arrivare all'Ego? Sia nel discorso sul metodo, sia nelle meditazioni filosofiche, dice di essere insoddisfatto del metodo fino ad allora studiato (quello della filosofia scolastica, l'aveva studiato al collegio di gesuiti), e di aver accolto come vere solo una gran quantità di false opinioni.
Dunque decide di mettere in discussione ogni forma di sapere tramite il dubbio metodico, che poi si trasforma in dubbio iperbolico (quando il dubbio metodico si estende ad ogni cosa e diventa assolutamente universale), che consiste nel considerare falso tutto ciò che è degno di essere dubitato.
Ovviamente non vi è bisogno che esamini ogni cosa, ma, poiché la distruzione delle fondamenta trascina necessariamente con se tutto l'edificio, basterà che attacchi i principi su cui tutte le sue vecchie opinioni si fondavano.

La prima certezza che mette in dubbio è quella dei sensi (Aristotele dice che solo la ragione può sbagliare, invece i sensi non sbagliano mai) --> a volte la sensazione si sbaglia (es.: se si immerge il remo nell'acqua lo si vede spezzato, anche se in realtà non lo é) --> se la sensazione inganna una volta può anche ingannare sempre. È anche vero, tuttavia, che la sensazione inganna in eventi molto circoscritti, cioè nelle cose piccolissime e lontane si sbaglia, però nella vita quotidiana non si sbaglia e di alcune cose non si può assolutamente dubitare (ad es.: il fatto che lui sia lì seduto accanto al fuoco, con una vestaglia e le carte in mano). Si potrebbe dubitare di ciò solo se ci si mettesse nei panni di quei folli che pensano di essere re o di essere vestiti di oro e di porpora, quando invece sono nudi.

Tuttavia Cartesio non può seguire la via della follia, perché altrimenti lui non sarebbe da meno e sarebbe un amens (cioè senza mente) --> lui sta procedendo per ragionamento, quindi non potrebbe affatto immedesimarsi [questo è un passaggio importantissimo, perché Foucault vede qui la separazione tra ragione e follia --> secondo lui qui viene fondato dal punto di vista psicologico l'internamento psichiatrico]. Però si può seguire una via diversa dalla follia --> una esperienza nella vita quotidiana simile a quella dei pazzi, ma che ci permette di non abbandonare la ragione è il sogno --> nel sogno effettivamente si vivono esperienze che noi crediamo reali, ma in realtà non lo sono. Tuttavia le cose che sono rappresentate nel sogno sono come dei quadri, i quali non possono essere formati se non a somiglianza di qualcosa di reale. E anche quando i pittori si sforzano di rappresentare sirene o satiri (cose immaginarie), fanno una mescolanza di membra di diversi animali, e se anche la loro immaginazione è così stravagante da inventare qualcosa di assolutamente nuovo, almeno i colori che compongono il quadro devono essere veri. Così nel sogno cose generali come la testa, gli occhi, e le mani possono essere immaginari, però è anche vero che vi sono cose ancora più semplici e universali che sono vere e dalla mescolanza delle quali, così come dalla mescolanza di colori veri, tutte le immagini si formano.

Queste cose semplici e universali sono i concetti della matematica, come l'estensione, la figura, la quantità, la grandezza, il numero, il luogo, il tempo (ad esempio se sogno un triangolo esso avrà 3 lati, così come se sogno 2+2, farà 4). Dunque ciò che rimane vero nel sogno è la matematica --> potrebbe essere la matematica il fondamento della verità. Tuttavia in questo modo, ponendo la matematica come fondamento di verità, si dovrebbe porla al di sopra di Dio, una posizione che sarebbe apparsa sconveniente, in quanto poteva essere interpretato come messaggio ateo. Dunque Cartesio ipotizza la presenza di un genio tanto maligno quanto potente che inganna gli uomini in ogni momento, anche per quanto riguarda la matematica (ad esempio inganna sul fatto che 2+2 fa 4 quando magari fa 5). Dunque Cartesio dice di badare accuratamente a non accogliere alcuna falsità, e di preparare il suo spirito a tutte le astuzie del genio maligno. Potrebbe anche imporsi di sospendere il giudizio su ogni cosa, ma questo proposito è troppo difficile da mantenere ed egli ricadrebbe inavvertitamente nelle vecchie opinioni. La prima meditazione si chiude con un paragone assai suggestivo: come uno schiavo ha il timore di svegliarsi da un sogno nel quale ha l'illusione piacevole di essere libero, così lui si culla nelle vecchie opinioni consolidate e rassicuranti e teme il risveglio da questa specie di sogno intellettuale, risveglio che lo precipiterebbe nell'angoscia del dubbio e dell'incertezza.

Con il genio maligno tutta la realtà diventa un'illusione, ed è proprio qui che viene fondata l'anima come spazio di interiorità. Infatti il fatto che tutta la realtà potrebbe essere un'illusione viene chiamata da Cartesio idea, non in senso platonico,ma come la intendiamo noi oggi, cioè come un contenuto mentale, infatti questa illusione è una rappresentazione interna (errata, un'illusione) del mondo esterno. Però ecco che Cartesio, dopo aver dubitato di tutto (ed essere dunque giunto al dubbio iperbolico), trova la sua prima verità --> il genio maligno mi può anche far dubitare di tutto, ma rimane il fatto che dubito, dunque che penso.

Dunque così Cartesio arriva a dire “cogito ergo sum”(oppure ego sum ego existo), l'unica proposizione assolutamente vera, perché riconfermata dallo stesso dubbio --> può dubitare, dunque pensare solo chi esiste. Cartesio, che ha appena guadagnato la certezza della propria esistenza, deve ora capire quale sia la sua natura. Anche qui riesamina alcune delle sue opinioni del passato servendosi nuovamente del dubbio come strumento critico. In passato ha pensato di essere un uomo. Ma cosa é un uomo? Si deve abbandonare l'antica concezione di uomo come animale ragionevole (di origine aristotelica) a causa della complessità e incertezza che caratterizzano entrambi i termini che la compongono. In passato pensava anche di essere un corpo (come avente un viso, mani, braccia ecc) e un'anima (immaginata come un vento, una fiamma o un'aria sottilissima). Per ciò che concerne il corpo, egli dava la seguente nozione: tutto ciò che può essere determinato in qualche figura, che può essere compreso in qualche luogo e riempire uno spazio in maniera tale che qualsiasi altro corpo ne sia escluso, che può essere sentito o col tatto, o con l'udito, o con l'odorato o col gusto o con la vista e che può essere mosso in più modi, non da se stesso, ma da qualche cosa da cui sia toccato. Tuttavia, a causa del genio maligno, Cartesio deve dubitare di tutti questi attributi e deve addirittura dubitare di avere un corpo. Per quanto riguarda l'anima egli deve scartare l'idea che essa abbia quegli attributi legati alla corporeità come la nutrizione, la mobilità e la sensibilità (dal momento che ha appena dubitato del corpo). Tuttavia vi è un attributo dell'anima di cui non si può dubitare, cioè il pensiero. Cartesio dice che esiste fino a quando continuerà a pensare, nel momento in cui il pensiero cesserà, egli smetterà anche di esistere. Dunque io non posso dire di esistere in quanto corpo, però è assolutamente vero che io esisto in quanto sostanza pensante, o, se si preferisce, in quanto spirito, intelletto o ragione. Può darsi che non esista ad esempio ciò che percepisco (come un pezzo di cera), ma é impossibile che non esista un io che pensa di percepire quell'oggetto.

Nel ribadire l'esistenza di essere una cosa che pensa, Cartesio specifica quali sono le manifestazioni principali del pensiero, come il dubitare, il concepire, l'affermare, il negare, il volere, l'immaginare, il sentire.

Dunque il principio del cogito mi rende sicuro della mia evidenza ed esistenza, ma lascia ancora aperta la questione delle altre esistenze ed evidenze, sulle quali grava ancora l'ipotesi del genio maligno. Io sono un essere pensante, e dentro questa res cogitans ci sono delle idee (cioè rappresentazioni interne del mondo esterno). Io sono sicuro che queste idee esistono, però non sono sicuro se a queste idee corrispondono realtà effettive fuori di me.

Per rispondere a ciò Cartesio divide tutte le idee in 3 categorie: idee che sono innate dentro di me (idee innate), idee che vengono da fuori (idee avventizie) e quelle costruite all'interno (idee fittizie). L'idea di Dio è un'idea innata ed è difficile credere che l'abbia creata l'uomo. Infatti l'uomo è privo delle perfezioni che l'idea rappresenta e la causa di un'idea deve avere almeno tanta perfezione quanta è quella che l'idea stessa rappresenta. La causa di una sostanza perfetta non posso essere io che sono imperfetto, ma deve essere una sostanza perfetta che dunque deve essere ammessa come esistente. In questo modo Cartesio dimostra l'esistenza di Dio e crea un ponte tra mondo esterno e interno --> l'idea di Dio, che è interna, trova una corrispondenza anche all'esterno. L'esistenza di Dio è la seconda verità, e da questa verità si può fondare anche la verità della matematica, perché se Dio esiste, ed è perfetto e infinitamente buono, allora non può esistere un genio maligno che in ogni momento mi inganna, perché non potrebbe averlo creato nessuno. Dalla verità su Dio fonda anche la verità sul mondo esterno, in quanto noi tutti siamo inclini a pensare che esiste un mondo esterno, ma dato che Dio è perfettissimo e buono, non ci avrebbe dato questa credenza se fosse falsa. È importante notare che per Cartesio il mondo esterno è definito come la spazialità euclidea, dunque non come odori, colori, forme (come invece pensava Aristotele) --> dunque Cartesio considera la quantità e non la qualità. Ciò può essere spiegato dall'esempio della cera, che mostra anche le proprietà della res extensa (la materia) --> si consideri un pezzo di cera appena estratto dall'alveare, con le sue molteplici qualità sensibili, che sembrerebbero proprietà oggettive della materia-cera. Queste qualità si dissolvono se avviciniamo la cera al fuoco, anche se qualcosa sicuramente resta alla fine di questo processo --> ciò che resta non coincide con quanto evidentemente mi mostravano in precedenza i sensi. Devo dunque pensare che la cera consista non in proprietà come la dolcezza, il profumo ecc…, bensì genericamente in un corpo. Se poi provo a raffigurarmi questo corpo, astraendo dalle caratteristiche della cera, trovo che non resta altro che qualcosa di esteso, flessibile e mutevole.

In conclusione si può dire che la cosa fondamentale di Cartesio non è proprio che lui abbia distrutto tutto per poi ricostruire tutto (tramite l'idea di Dio), ma che in questo processo lui abbia trovato l'Io, inteso in modo moderno, cioè spazio di interiorità; l'idea, anch'essa interpretata in modo moderno, cioè come costruzione mentale interna; e il mondo esterno, inteso come quantificabile.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA di Mariasole Genovesi
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