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Chute de la maison usher - Epstein -




Nel ’28, anno del film suddetto, Epstein era già considerato un maestro del cinema francese; tuttavia, una troppo rapida canonizzazione è stata tra le cause del precoce abbandono della prassi critica ed interpretativa della figura di Epstein, e in particolare della Maison Usher, sempre citata come uno dei capolavori dell’impressionismo francese, ma, proprio per questo, raramente oggetto d’analisi attenta. In realtà Epstein era più e meno di un maestro, così come La Maison Usher è qualcosa di diverso da un capolavoro – se per capolavoro si intende una forma chiusa, definitiva, a anche la summa di un’opera o di una scuola –.
Le ragioni storiche e teoriche che permettono di posizionare la prassi di Epstein al di qua o al di la della maestria. Egli non è un autore se per autore si intende il luogo di una virtualità coerente, è piuttosto uno sperimentatore, in senso proprio un realizzatore di cinema. È il cinema che si deve fare, che deve essere fatto, e rispetto alla potenzialità del cinema Epstein fa un passo indietro, ponendosi in un certo senso al suo servizio, come realizzatore.
C’è dunque in lui un’idea di prassi cinematografica che contrasta con la volontà di una poetica autoriale: egli è al di qua della maestria – non ha allievi possibili in quanto è solo il cinema, come soggetto terzo, a poter insegnare qualcosa del cinema –, ma ne è anche al di là – perché nella sua filmografia ogni episodio è concepito più come un punto di partenza che come punto d’arrivo, in un continuo ricominciare, in un’apparente continua smentita di se stesso.
Per Epstein, far cinema non significava soltanto ottenere dei risultati come autore, ma anche e soprattutto cambiare il cinema stesso. La Maison Usher è dunque un film epocale, in senso proprio, in quanto è un tentativo estremo, un ultimo colpo di dadi: pensare il cinema, o renderlo pensante, oltre il prevedibile, l’immaginabile di una storia che già organizzava il proprio futuro, che già stava andando altrove.
Le mutate condizioni storiche resero impossibile per Epstein, dopo questo film, proseguire per quella strada: quello che era stato un tentativo di cambiare il volto del cinema divenne consapevole marginalità, poetica d’autore, sia pure senza compromettere una straordinaria volontà di sperimentazione i cui risultati non possono certo considerarsi minori.

Tratto da SEMIOTICA DEI MEDIA di Nicola Giuseppe Scelsi
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