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Comunità piccole, grandi, immaginate


La distinzione in etnie porta a relegare gli altri in  una sorta di primitivismo, come una guerra etnica presuppone una guerra che si conduce perché si è diversi. È stata formulata la dicotomia Gemeinschaft / Gesellschaft (gruppi comunitari / gruppi associativi): la prima è dominata dalla parentela e da vincoli morali che producono una relativa omogeneità di comportamento e un ordine sociale relativamente stabile, la seconda è un ordine sociale dominato da relazioni sociale interpersonali, come nelle società urbane e industriali. Serve per distinguere la piccola comunità dalla grande comunità o società: rapporti tra gli individui face to face, scarsa differenziazione dei ruoli, status ascritti, definibilità da parte dell’osservatore. La comunità va intesa non tanto nel suo senso lessicale, ma in quello dell’utilizzo che ne viene fatto dai suoi componenti, dall’utilizzo: più che chiederci perché, bisogna chiedersi come.
Una comunità crea inevitabilmente analogie e differenze: i suoi membri devono avere qualcosa in comune e devono distinguersi da quelli di un’altra comunità. La coscienza della comunità è incapsulata nella percezione dei suoi confini, percezione che nasce dall’esperienza. Le norme della comunità non sono regole istituzionalizzate, ma danno indicazioni di comportamento che influenzano i membri della comunità stessa. La comunità è quell’entità a cui uno appartiene, più grande della famiglia e più ridotta dell’astrazione definita come società, è il gruppo minimo capace di autoriprodursi, di trasmettere un’idea di cultura e di appartenenza alle generazioni successive. Non è solo un’entità territoriale; ne esistono di molto vaste, come quelle che fanno riferimento alle religioni o alle ideologie: si tratta di comunità i cui membri non vivono in una realtà contigua, i loro rapporti non sono personali o face to face, ma sono accomunati da un’idea, da simboli, che devono essere immaginati per far esistere la comunità. Nasce la comunità immaginata, rese possibili dalla diffusione del capitalismo a stampa (la diffusione su scala industriale dell’editoria e la conseguente alfabetizzazione di massa) e del capitalismo elettronico, che portarono a capire che in posti anche molto lontani e mai conosciuti c’erano persone che condividevano i nostri stessi pensieri, portando all’idea di appartenere a una comunità molto più ampia di quella del proprio villaggio, che per esistere necessita della costruzione da parte di un qualche gruppo in grado di farlo.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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