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Definizione di reati omissivi propri e impropri

Definizione di reati omissivi propri e impropri

La causalità della condotta omissiva ha sempre dato luogo a problemi derivanti dalla mancanza di un substrato naturalistico nell’omissione. In pratica, la constatazione che dal p. di vista naturalistico l’omissione consista in un “nihil”, fa dubitare che essa possa realmente concorrere alla produzione di un evento.

La distinzione tra reati omissivi propri e impropri e il significato dell’art. 40.2 c.p.

Reati omissivi propri => sono privi dell’evento, dunque sono reati di pura condotta omissiva.
Es. l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (art. 361 c.p.).

Reati omissivi impropri => sono quelli alla cui condotta omissiva deve seguire la produzione di un evento naturalistico, in quanto elemento costitutivo del reato previsto dalla fattispecie incriminatrice. Tale categoria è chiaramente prevista dall’art. 40.1 c.p., il quale, nell’affermare la necessità del nesso di derivazione causale dell’evento, la riferisce sia all’azione che all’omissione.
La previsione legislativa del fatto tipico dei reati omissivi impropri può derivare da diverse tecniche di tipizzazione:

1_ La fattispecie può essere prevista direttamente dalla stessa norma incriminatrice come omissiva. Es. art. 437.2 c.p.
2_ Il legislatore può indicare la condotta in modo indeterminato, utilizzando cioè un’espressione lessicalmente capace di designare tanto una condotta attiva quanto una condotta omissiva. Es. art. 575 c.p.
I reati, così tipizzati, sono c.d. fattispecie “casualmente orientate” o “a condotta libera” e quando sono in concreto realizzati mediante una condotta omissiva si parla di reati commissivi mediante omissione.

3_ Il legislatore può utilizzare una tecnica di “conversione” (e di “raddoppio”) di fattispecie configurate espressamente come attive (“chiunque, con artifizi e raggiri, inducendo taluno in errore…” art. 640 c.p.) in altrettante fattispecie omissive improprie, attraverso una clausola generale di equivalenza.
Es. dovrebbe essere punito anche colui che si procura un ingiusto profitto con altrui danno limitandosi ad approfittare dell’errore in cui già versava il contraente, e tenendo così una condotta non già attiva di induzione in errore mediante artifizi e raggiri, ma solamente omissiva di approfittamento dell’errore altrui.

Tali 3 tecniche legislative si pongono in un progressivo allontanamento dai principi di legalità e tipicità:
con la 1° => la condotta omissive è espressamente descritta dal legislatore;
con la 2° => è prevista solo implicitamente;
con la 3° => si avrebbe un vero e proprio vulnus a tali principi, poiché la tipizzazione effettuata dal legislatore di una condotta esclusivamente attiva sarebbe smentita da una clausola generale di raddoppio che, in quanto tale, aggiungerebbe a quella attiva una fattispecie omissiva sulla base di un giudizio sostanziale di equivalenza rimesso all’esclusivo apprezzamento del giudice. Si ritiene, perciò, che tale tecnica sia incompatibile con i principi di legalità e tipicità.

Sennonché, l’art. 40.2 c.p. (dedicato alla sola condotta omissiva): “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, si presta a 2 possibili interpretazioni:
_ Da un lato => l’opinione largamente maggioritaria ritiene che l’art. 40.2 c.p. deve essere inteso come clausola che consente l’individuazione delle fattispecie omissive improprie mediante il suo riferimento e il suo “combinarsi” con le fattispecie casualmente orientate. Mediante tale soluzione interpretativa, il legislatore, attraverso la configurazione di una fattispecie casualmente orientata, ha mostrato indifferenza verso la realizzazione attiva o omissiva, “coprendole” entrambe con la sua previsione.
Lo stesso art. 40.1 c.p. afferma la plausibilità logico-naturalistica della causalità dell’omissione.

_ Dall’altro => secondo un altro modo di intendere l’art. 40.2, la clausola dell’equivalenza non sarebbe priva di un suo contenuto normativo anche se assai modesto, trovando essa la sua ragion d’essere essenzialmente nelle peculiarità “ontologiche” della causalità omissiva, cioè essendo poco plausibile riferire la causalità naturalistica ad una condotta che naturalisticamente è nulla, con la clausola di equivalenza il legislatore farebbe capire che, nei reati omissivi impropri, è si possibile parlare di causalità, ma in un senso tutto normativo di “iscrizione” dell’evento al soggetto e cmq assolutamente peculiare e3 diverso da quello proprio della causalità attiva.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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