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Erasmo da Rotterdam

L'idea umanistica della politica
Il pensiero di Erasmo rappresenta un filone di riflessione umanistica che si discosta profondamente, fino a costituirne l'antitesi culturale e politica, dalle idee di Machiavelli. C'è in lui il netto rifiuto di una teoria e di una pratica accentrate sulla ragione di stato e sugli interessi della politica di potenza. Erasmo sente intensamente la suggestione delle idee umanistiche ed in particolare di quelle dell'Umanesimo italiano ma queste rinnovate forme di cultura e di conoscenza devono essere per lui anche responsabilità a lavorare per il bene di una cristianità rigenerata che dovrebbe diventare sinonimo di umanità riconciliata. Erasmo è un intellettuale che pensa e si comporta come cittadino del mondo, cercando di umanizzare tutto attraverso l'educazione, la ragione ed il sapere e ponendo le idee della moderazione, della tranquillità, del benessere, della tolleranza, della pacificazione al posto dei valori più duri. Il suo tentativo di instaurare un dialogo positivo fra il mondo intellettuale e quello del potere ha certo conosciuto uno straordinario successo personale e la sua influenza intellettuale non ha avuto uguali nell'Europa del suo tempo. Ascoltato dall'imperatore, dal papa, dai principi (fu precettore del futuro Carlo V), ebbe contatti intensi con tutti gli ambienti umanistici e le sue opere ebbero grande diffusione. L'impegno di conciliazione e di sintesi di Erasmo, malgrado il suo successo personale, non è riuscito ad avere ragione delle opposizioni e delle contraddizioni che avrebbero caratterizzato le vicende religiose e politiche europee ma ciò non toglie che egli abbia alimentato un fermento ideale, rimasto nella vita culturale europea come simbolo di tolleranza e come visione pacifica ed umanistica della storia.

Lo spirito di tolleranza

La mentalità di Erasmo è educata al senso filologico, secondo la grande tradizione umanistica italiana; non si tratta però di un filologismo fine a se stesso: applicato soprattutto all'interpretazione dei testi sacri, tale metodo filologico intende contrastare le ortodossie conservatrici per favorire possibilità di revisioni spirituali e politiche. Egli rifiuta l'estremismo in tutti i modi in cui esso possa presentarsi (religioso, intellettuale, politico) e ciò che soprattutto lo attrae è lo spirito di mediazione e di tolleranza; il suo intendimento è quindi di comportarsi da dialettico, pronto a ricevere da chiunque una dottrina più corretta e meglio definita. Le bonae litterae devono per lui rappresentare soprattutto l'inesauribile repertorio culturale della ragionevolezza e del dialogo contro il pregiudizio e l'arbitrio. Il difetto che si può vedere in lui deriva dalla sua insistente tendenza ad evitare riscontri troppo duri, a non partecipare in modo totale. Nel momento dell'esplosione dello scisma religioso della Riforma egli si disimpegna e si dimostra anzi decisamente ostile alla spaccatura del Cattolicesimo. A trattenerlo nella Chiesa madre era il suo convincimento profondo che lo scisma religioso non si sarebbe limitato solo a dispute teologiche ed avrebbe provocato conflittualità sociali e dilacerazioni politiche nelle nazioni europee. Le guerre di religione si presentavano ad Erasmo come la conseguenza funesta di queste dispute in cui ragioni teologiche, politiche e nazionalistiche si sarebbero mescolate. Egli vedeva così nell'opera di Lutero una minaccia per valori essenziali della civiltà europea. Quale che fosse la validità dei motivi della protesta, che largamente Erasmo condivideva, essa avrebbe dovuto svolgersi in altro modo, senza compromettere quella unità religiosa da lui considerata come sostegno e garanzia di un rinnovamento dello spirito pubblico europeo. Era stata la religione che nel passato aveva rappresentato il tessuto connettivo dell'Europa e tale patrimonio di valori doveva essere trasformato secondo i principi umanistici.

La fede e la ragione

La maggior parte delle opere di Erasmo sono di carattere religioso e teologico e vagheggiano un ritorno allo spirito del Cristianesimo evangelico fondato sulla semplicità dei valori e su un rapporto più diretto fra l'uomo e la Rivelazione. Per questo egli protesta contro la burocratizzazione che rischia di trasformare la Chiesa in un apparato di potere ma egli contesta alla Chiesa anche la sua ostinazione a deprimere bisogni umani leciti, utili e necessari ed a chiudersi in una visione del Cristianesimo troppo severa e tetra, troppo incline alla penitenzialità, alla rinuncia, all'esasperazione del male e dell'espiazione. Fondamentale esigenza di Erasmo è così la ricerca di una riconciliazione della Chiesa con l'Umanesimo e della conoscenza con la fede, nel convincimento che Umanesimo e religione non siano due polarità e non costituiscano un'alternativa: né la religione deve svilire e compromettere la libertà umana, né questa deve oltraggiare i valori profondi della spiritualità. La ricerca di una conciliazione tra fede e ragione rappresenta una preoccupazione tradizionale della dottrina cristiana. Quella del cristiano deve rimanere una coscienza aperta e senza libero arbitrio lo stesso problema della salvezza perde il suo significato spirituale. Dio ha posto l'uomo in questo mondo come "una replica di se stesso" e lo vuole due volte libero: per decreto della natura e per le leggi umane.
Estraneo per tanti aspetti allo spirito medievale ed ai suoi valori organicistici e corporativi, Erasmo sente l'esigenza di incoraggiare quella "varietà ammirevole" delle attività umane che tanto contribuisce alla utilità sociale, così come cerca di evitare ogni forzosa ascesi dell'anima sul corpo. Il Cristianesimo non deve troppo screditare la tendenza dell'uomo a procurarsi dei vantaggi che siano fruibili anche in questa terra; non vi è incompatibilità tra la fede e la naturale disposizione dell'uomo al soddisfacimento dei bisogni leciti che rendano la vita più distesa e rasserenata. Il Cristianesimo è per Erasmo un grande sistema di moderazioni, una regola di equilibrio e di contemperamento e, perciò, tutto ciò che è più armonico e più aperto alla comprensione dei fini reali della vita può essere valorizzato e tutelato dalla fede cristiana che non richiede pratica artificiale di virtù sublimi, grandi misticismi, ascetismi e privazioni. La critica di Erasmo a certe ortodossie ristrette e cristallizzate si basa su una revisione filologica dei libri sacri, volta a dimostrare che testi sui quali la Chiesa legittimava certi precetti troppo costrittivi e punitivi non erano originali ma manipolati e come tali non dovevano costituire oggetto di obbedienza passiva. Un'operazione apparentemente non troppo dissimile da quella che andava compiendo Martin Lutero ma che Erasmo attua con intendimento molto diverso: egli non si serve dei testi evangelici per provocare scissioni ma piuttosto per valorizzare ciò che gli sembra conciliabile con la cultura umanistica.

Il pacifismo

Erasmo si batteva per un mutamento dello spirito politico: la sua idea era che sarebbe stato un fallimento se, dopo l'Umanesimo, l'Europa si fosse trovata dilaniata dallo spirito nazionalistico ed imperialistico, spenta intellettualmente e moralmente. Egli può considerarsi precorritore di una coscienza europea aperta, pronta a lottare contro l'esclusivismo delle nazioni per valorizzare in tutti i settori della vita personale e sociale ciò che può meglio rappresentare la positività dei valori umani. La vecchia respublica christiana era entrata in crisi perché non più sostenuta né dall'autorità ormai screditata dell'Impero, né dall'ascendente spirituale di una Chiesa che aveva smarrito la sua autenticità religiosa ma gli pareva possibile e necessario ricercare una nuova intesa proprio su quei principi che l'Umanesimo aveva scoperto e valorizzato. Si doveva quindi riprendere il discorso sull'Europa riproponendo l'idea di una unità europea non monolitica, non gerarchica e pronta invece ad accogliere tutte le vocazioni europee capaci di coordinarsi e di convergere su compiti culturali e sociali di vasta portata. La sua era quindi l'immagine di un'Europa umanistica generalizzata. Di qui, in Erasmo, l'intransigente ripudio della guerra e la sua professione senza riserve di pacifismo; niente è per lui così negativo come la guerra, da essa deriva la degradazione e la demoralizzazione generale della vita. Nella filosofia pacifista di Erasmo non c'è soprattutto alcun posto per l'idea di guerra santa giustificata come esecuzione della volontà di Dio. Solo quando tutti i mezzi pacifici sono stati sperimentati senza successo e solo in caso di aggressioni dirette la guerra può diventare la estrema ratio. La sua idea del Principe è l'opposto di quella di Machiavelli. Erasmo sente una profonda ripugnanza a considerare la politica e il diritto come attività separate dalla morale. Il sovrano si legittima solo se coltiva nel suo stato le arti della pace e se supera gli altri per le sue doti di re; l'inganno e la simulazione non devono essere strumenti dell'autorità ed il sovrano è da considerare solo come amministratore di beni altrui. L'ideale di Erasmo rimane quello di una monarchia temperata, non priva però di elementi democratici. Egli sostiene così che, per evitare le degenerazioni tiranniche, è vantaggioso rinunciare alla regalità ereditaria e sostituirla con quella elettiva.

Etica e spontaneità

L'opera più conosciuta di Erasmo, L'elogio della follia, è stata intesa come un "divertissement" letterario, come evasione di un umanista; certo, egli vuole ironizzare sulla boria dei filosofi ma questo saggio può essere inteso in un senso eticamente più profondo e politicamente più significativo: Erasmo vuole mettere in evidenza, in modo caricaturale e scherzoso, il principio che l'esistenza umana deve qualcosa alle piccole follie. Non si può vivere secondo una virtù troppo austera: l'esperienza umana è sempre aperta ed i filosofi devono badare a non ingombrare troppo con le loro concettualizzazioni il flusso delle forze vitali dell'umanità. Diffidenza quindi di Erasmo verso una razionalità a formato chiuso e disposizione invece ad accettare anche sentimenti, propensioni, bisogni che dal punto di vista strettamente razionale possono apparire come stoltezze. La vita umana è "un gioco della follia" però questa parola è usata da Erasmo in un senso molto blando e pacato: egli si riferisce a quelle piccole follie che sono impulsi vitali del nostro agire e che non ci fanno preoccupare oltre misura di tutti i possibili risultati e di tutte le possibili incidenze dei nostri comportamenti. L'uomo è certo tenuto ad assumere responsabilità dei suoi atti ma, una volta che essi si immettono nel mondo e si mescolano all'insieme delle azioni altrui, producono delle combinazioni umane e sociali che sarebbe folle e patologico pretendere di preventivare e di padroneggiare integralmente con misure razionalisticamente pure. Non si devono progettare razionalmente tutti i moventi dell'azione, se si vuole lasciare un certo margine di libertà ai soggetti e se si vuole svincolare la società dalle ristrettezze ed improduttività dell'abitudine e della ripetizione.
Una certa liberalizzazione delle piccole follie può costituire un antidoto alle grandi follie provocate dalla smania di imporre alla vita presunti schemi di verità assolute. Questo elogio della stoltezza esprime un'intuizione politicamente rilevante e cioè che un certo ordine spontaneo può dare più garanzie di un ordine razionalmente costruito dal potere e da esso coercitivamente imposto.

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