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Fivet e la procreazione


Un’altra linea argomentativa contraria alla Fivet è di tipo conseguenziale, la tesi suggerisce una scivolo continuo in pericoli maggiori, per l’umanità in generale e per il nascituro, mano a mano che ci si discosta sempre più dai processi naturali(un po’ come nel caso del pendio scivoloso). A ciò si può controabbattere  che non vi è alcuna prova empirica che la prole nata mediante forme ritenute più sofisticate di fecondazione subisca danni per questo suo modo di nascere, né prove empiriche che vi siano danni derivanti dal discostarsi dalla cosiddetta famiglia naturale.
RIPETIAMO che è molto diffuso nel senso comune un diverso trattamento a cui vengono sottoposte la procreazione naturale e quella assistita: è come se si partisse dal presupposto che in genere il ricorso alla fecondazione assistita non è giustificato e che occorre avanzare ragioni etiche x scusare il fatto di avervi fatto ricorso. Vengono così offerte diverse ragioni sanitarie o terapeutiche che giustificano il ricorso alle pratiche di fecondazione assistita. Il tentativo però di delimitare il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita sulla base di determinate esigenze terapeutiche fallisce in quanto non può essere percorsa quella via che sostiene che il diritto alla libertà procreativa va salvaguardato solo sulla base del determinarsi di condizioni. Il ricorso all’artificiale ai fini terapeutici come la sterilità e il ricorso a tale giustificazione come decisivo criterio etico, risulta anche ridicola.  Falliscono anche altri tentativi che limitano il ricorso a tali pratiche sulla base di condizioni non strettamente sanitarie ma bensì circa le condizioni o lo stato della coppia che ne desideri fare ricorso. Tali condizioni sono per la maggior parte delle volte vaghe e non permettono di tracciare un confine tra condizioni accettabili o meno, inoltre il ricorso a queste diverse condizioni per delimitare gli usi della fecondazione assistita ritenuti accettabili non riesce a superare la critica decisiva di trattare in modo moralmente diverso situazioni sostanzialmente simili e dunque si da così vita a forme di discriminazione sulla base di pregiudizi.
Dobbiamo sbarazzarci della tesi che sostiene che l’illiceità possa derivare dallo scostarsi da quella che sarebbe la procreazione del tutto secondo natura come se questa illiceità derivi dal non rispetto di qualche principio assoluto lasciatoci dalla tradizione. Un’argomentazione ragionevole dovrebbe piuttosto mettere in evidenza e valutare le conseguenza che l’uso di questi modi di nascere porta per tutti coloro che da tali pratiche sono coinvolti, sarebbe del tutto illeggittimo ricorrere a tali pratiche se si avessero evidenze sicure che tali provocano danni fisici o psicologici per la persona che nascerà o per i coinvolti.
In tutto ciò la Chiesa si dichiara contraria a prescindere dai fini e usi terapeutici o meno, considera per di più la sterilità una NON malattia dando così una sorta di giudizio scientifico che non le compete.

Tratto da BIOETICA. LE SCELTE MORALI di Marianna Tesoriero
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