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Giovan Battista Bellori, storiografo dell'arte in Italia


È il più importante storiografo dell'arte in Italia e in Europa. Nasce a Roma verso il 1615 e muore nel 1696. Ha avuto una posizione assai favorevole come bibliotecario della figlia di Gustavo Adolfo, la regina Cristina di Svezia. Da Clemente X ebbe la carica di Antiquario di Roma, ed è giustamente chiamato “predecessore di Winckelmann”. Nella storiografia dell'arte Bellori entra con due opere.
Descrizione delle Stanze di Raffello. Risale al 1695 ed è molto importante per il culto raffaellesco del Seicento. Bellori aveva allora la custodia delle Stanze e a condurne il restauro fu un amico intimo, Carlo Maratta. Il Bellori, quindi, ci informa ampiamente sui lavori e su quello, sempre curato da Maratta, degli affreschi della Farnesina. In quest'opera l'elemento propriamente artistico – formale passa in secondo piano, eccetto qualche osservazione sulla direzione della luce.
Vite de' Pittori, Scultori e Architetti Moderni. Risale al 1672. Nicolas Poussin, che fu grande amico di Bellori, ebbe parte rilevante nell'economia dell'opera. Anche il nome del grande statista Colbert salta fuori, che aveva anche fondato l'Accademia di Francia. Dell'opera uscì solo la prima parte, e la seconda fu ritrovata nella biblioteca di Rouen pochi anni fa. L'introduzione è costituita dal discorso che tenne all'Accademia di San Luca su L'idea di pittura, scultura ed architettura. Il Bellori non è un cronista, come Baglione. Non vuole parlare di tutti gli artisti, ma li sceglie fin dal principio secondo determinati criteri di valutazione.
La parte giunta fino a noi tratta circa 12 artisti: i fratelli Annibale e Agostino Carracci, l'architetto Domenico Fontana, Caravaggio, Rubens, Van Dyck, Domenichino, Poussin. L'opinione che ebbe su Caravaggio influenzò molto la critica successiva: ne dà, infatti, un giudizio piuttosto negativo, pur riconoscendogli il merito di aver sollecitato un ritorno all’osservazione del naturale. Convinto portavoce della tradizione classica, per la quale la natura doveva sì essere “imitata”, ma anche emendata e ricondotta ai canoni dell’aurea mediocritas e della raffinatezza greco-romana, Bellori considera il Caravaggio troppo smaccatamente fedele al vero, ossia troppo lontano dalla bellezza ideale.



Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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