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Hume - Le passioni e l'educazione alla felicità negli scettici


La conclusione di ciò è che non è dal valore dell’oggetto che ogni persona insegue che possiamo determinare il suo piacere, ma solo dalla passione con cui lo persegue. Gli oggetti non hanno valore in sé. Tutta la differenza, quindi, tra un uomo e l’altro consiste nella passione o nel piacere; e queste differenze sono sufficienti per produrre gli opposti estremi della felicità e della sofferenza.

Per essere felici, la passione non deve né troppo violenta né troppo debole. Nel primo caso, la mente è in un continuo stato di agitazione e di tormento; nel secondo, sprofonda in una indolenza e in una apatia sgradevoli. Ancora, per essere felici, la passione deve essere serena e lieta, non cupa e malinconica. Una propensione alla speranza e alla gioia è una vera ricchezza.

Alcune passioni non sono salde e durevoli come altre. La devozione alla filosofia, ad esempio, non può attivare la mente per molto tempo, o esserci in ogni momento della vita. Per rendere la passione persistente, dovremmo trovare qualche sistema per stimolare i sensi e l’immaginazione, e dovremmo abbracciare una visione storica e filosofica della Divinità.
Una vita di piacere non può essere sostenuta tanto a lungo quanto una vita di lavoro, ed è più soggetta alla sazietà e al disgusto. Le passioni che inseguono oggetti esterni non contribuiscono tanto alla felicità quanto quelli che rimangono dentro di noi: noi non siamo né certi di ottenere tali oggetti, né sicuri di possederli. Una passione per il sapere è preferibile a una per le ricchezze.

Secondo questo ritratto della vita umana, la più felice inclinazione della mente è quella virtuosa che conduce all’impegno, che ci rende sensibili alle passioni sociali, che protegge il cuore dagli assalti della fortuna. Allo stesso modo, è evidente che le disposizioni della mente non sono tutte in egual modo inclini alla felicità. Le differenze tra le condizioni di vita dipendono dalla mente.
Chiunque osservi il corso delle azioni umane, scoprirà che gli uomini si fanno guidare quasi completamente dalla costituzione e dal temperamento, e che le massime generali hanno poca influenza. D’altra parte, laddove qualcuno sia nato con una disposizione di spirito perversa da non provare interesse per virtù e bontà, un uomo simile sarà da considerare insanabile.
D’altra parte, l’attenzione alle scienze e alle arti liberali addolcisce il temperamento. Accade raramente che un uomo di gusto e di sapere non sia, alla fine, un uomo onesto. In più, gli effetti dell’educazione possono convincerci che la mente non è del tutto inflessibile, ma accoglierà dei cambiamenti della sua struttura originaria. L’abitudine è un altro potente mezzo: un uomo che insiste in una condotta di sobrietà e temperanza, disprezzerà le intemperanze e i disordini.
L’arte e la filosofia affinano dunque impercettibilmente il carattere, ma per esaltare o moderare le  passioni di un uomo non esistono argomenti diretti da utilizzare con incisività. I sentimenti hanno una natura delicata, e non possono essere forzati nemmeno con l’astuzia. Una considerazione non produrrà mai una genuina passione, risultato della spontaneità e della struttura della mente.
Un uomo potrebbe pretendere di guarire se stesso dall’amore, guardando la sua donna attraverso un microscopio, e osservando la ruvidezza della sua pelle, e le mostruose sproporzioni delle sue fattezze. Ma il ricordo dell’aspetto naturale continuerà a tornargli alla mente.
Le riflessioni della filosofia sono troppo sofisticate per occupare un posto nella vita quotidiana. L’aria da respirare è troppo rarefatta, quando si trova al di sopra dei venti e delle nuvole. Un altro difetto delle raffinate riflessioni della filosofia è che esse non possono estinguere le nostre passioni, senza estinguere anche quelle che sono virtuose, rendendo la mente del tutto inattiva.
Se ci limitiamo a una riflessione generica e distaccata sui mali della vita umana, questa non potrà avere nessun effetto nel prepararci ad essi. Se invece, con una rigorosa meditazione noi facciamo diventare quei mali reali e intimi, questo sarà il vero segreto per avvelenare tutti i nostri piaceri, e renderci continuamente infelici. Il dolore è sterile, e non cambierà il corso del destino.
L’esilio, dice Plutarco a un amico esiliato, non è un male: i matematici ci dicono che l’intero globo non è che un punto, rispetto ai cieli. Cambiare paese, quindi, è poco più che spostarsi da una strada all’altra. L’uomo non è un pianta, radicata in un pezzo di terra: ogni terra e ogni clima sono allo stesso modo adatti a lui. Questi argomenti sono ammirevoli sono per le persone esiliate, meno per chi è occupato nelle faccende pubbliche: il loro attaccamento al paese nativo sarebbe distrutto.

Tratto da RIFLESSIONI SUL SUICIDIO DI DAVID HUME di Domenico Valenza
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