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I Costi sociali dell’inflazione


Secondo la teoria classica una variazione del livello generale dei prezzi è come un cambiamento dell’unità di misura.
Se il governo riduce l’inflazione riducendo il tasso di crescita monetaria, i lavoratori non vedono i propri salari reali crescere più rapidamente, anzi, se l’inflazione rallenta ogni anno le imprese aumentano meno i prezzi dei propri prodotti, quindi concedono minori aumenti ai loro dipendenti.
Il benessere economico dipende dai prezzi relativi e non dal livello generale dei prezzi.

I costi dell’inflazione attesa.
Distorsione che la tassa di inflazione provoca sulla quantità di moneta che gli individui detengono; il costo della riduzione della quantità di moneta detenuta dagli individui è detto metaforicamente consumo delle suole.
Quando un elevato tasso di inflazione induce le imprese a cambiare frequentemente il listino dei prezzi dei loro prodotti (costi di stampa del menù)
Quanto più elevata è l’inflazione, tanto più variabili sono i prezzi relativi.
Dipende dalla normativa tributaria: molte disposizioni delle leggi tributarie non tengono conto degli effetti dell’inflazione che può alterare il carico fiscale degli individui.
Scomodità di vivere in un mondo in cui il livello  dei prezzi cambia continuamente. La moneta è il termine di paragone con cui misuriamo le transazioni economiche. Questo termine di paragone cambia continuamente in presenza di inflazione.

I costi dell’inflazione inattesa.
L’inflazione inattesa ha un effetto ben più pernicioso (=che reca grave danno) di quello provocato da un’inflazione attesa e costante: redistribuisce arbitrariamente la ricchezza tra gli individui. Possiamo analizzare questo fenomeno ricorrendo al caso dei prestiti a lungo termine  (es. mutui a tasso fisso).
L’inflazione inattesa danneggia anche chi vive di rendita (es pensioni).
Quanto più è variabile il tasso di inflazione, tanto maggiore è l’incertezza che creditori e debitori devono affrontare. Dato che la maggior parte degli individui è avversa al rischio, l’imprevedibilità generata da un’inflazione fortemente variabile danneggia tutti.

Un beneficio dell’inflazione.
Alcuni economisti credono che un’inflazione moderata possa essere una buona cosa. Questa ipotesi parte dall’osservazione che i tagli dei salari nominali sono rari.
Un taglio dei salari del 2% in un mondo in cui l’inflazione è nulla equivale a un aumento dei salari del 3% con l’inflazione al 5%. Ovviamente dall’ottica del lavoratore c’è una bella differenza (in realtà apparente) tra un taglio e un aumento. Questo fatto suggerisce che una certa quantità di inflazione possa aiutare il buon funzionamento dei mercati del lavoro.
Se il salario nominale non può essere diminuito, l’unico modo per abbassare il salario reale è lasciare che lo faccia l’inflazione.
Senza l’inflazione il salario reale resterebbe bloccato al di sopra del livello di equilibrio, provocando un aumento della disoccupazione.

Tratto da MACROECONOMIA di Alessia Chiovaro
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