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I cambi di rotta della politica italiana degli anni '60


L'irrigidimento della DC, che conferma le posizioni via via assunte a partire dalle fine del 1962, inizia ad aprire una divaricazione all'interno del PSI tra la crescente moderazione di Nenni e l'insistenza di Lombardi per un impegno programmatico più deciso. Gli avvenimenti si succedono rapidamente. L'incarico di formare un nuovo governo è affidato inizialmente a Fanfani, che fallisce perché nella DC è considerato portatore di ipotesi troppo avanzate, e poi a Moro. Il comitato centrale del PSI mette in minoranza Nenni e boccia l'ipotesi di accordo, così che Moro lascia l'incarico e passa il testimone a Leone, che porta avanti un governo di transizione.
È una fase di attesa, durante la quale, però, affiorano due atti apparentemente minori che indicano già quale sarà la direzione di marcia: da una parte il ministro delle Finanze, Martinelli, pone fine ai lavori della Commissione per la riforma tributaria, dall'altra il governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, annuncia provvedimenti deflazionistici in seguito ad una prossima congiuntura economica sfavorevole.
Dietro lo scudo dello stato di necessità maturavano scelte destinate presto a collidere con la politica di programmazione e con la via delle riforme; Carli ribadì la cosa a distanza di trent'anni confermando che l'obiettivo essenziale fu la difesa dell'esistenza dell'impresa privata, dell'industria capitalistica, messa in pericolo dalla prepotenza nazionalizzatrice del centro – sinistra.
I segnali della congiuntura sfavorevole erano comunque reali, e altro non erano se non il risultato ovvio di un decennio di nodi irrisolti che venivano ora al pettine. Diventava allora centrale la capacità di operare delle scelte. È sulla politica economica che si gioca la partita e si scontrano due impostazioni riconoscibili, ciascuna delle quali comportava inevitabilmente dei costi e implicava un differente modello di sviluppo della società italiana.
- Soluzione Carli – Colombo → era in buona sostanza incentrata su misure deflazionistiche e dava priorità all'equilibrio monetario e al pareggio della bilancia dei pagamenti a scapito dei livelli di occupazione e sviluppo. Implicava in primo luogo un attacco alle organizzazioni sindacali e alle rivendicazioni operaie, individuate come prime responsabili della incipiente crisi. Questa azione faceva scivolare in uno sfondo molto sbiadito le riforme, mettendo in discussione la programmazione e la possibilità di un intervento pubblico capace di modificare gli squilibri del paese. Una rigidità dell'economia contraria ai progetti di trasformazione e sostanzialmente sinonimica di una rigidità di alcuni interessi consolidati. La cedolare del 30% fu l'ennesimo colpo basso.
- Soluzione Giolitti – Lombardi → era basata sulla necessità di coniugare risposte congiunturali e sviluppo, di non deprimere investimenti e occupazione, di colpire più seriamente i patrimoni e gli interessi speculativi, di rendere convincenti le richieste di contenimento salariale con impegni effettivi sul terreno della programmazione.
Seppur meno programmatica, la soluzione Giolitti – Lombardi fu comunque ostacolata anche in tempi meno sospetti, vale a dire dopo la primavera del '64, quando la bilancia dei pagamenti era più equilibrata e le discussioni economiche avrebbero potuto essere più distese. Carli e Colombo si scagliarono gratuitamente e con forza sulla proposta Giolitti – Lombardi e viene duramente criticato il piano che Giolitti, ministro del Bilancio, stava preparando. Viene attaccato in forma meschina, tramite una lettera inviata giorni prima a Moro da Colombo, resa pubblica (in forma sintetica) da un articolo anonimo pubblicato a maggio dal Messaggero. In sostanza un ministro attaccava alle spalle un altro ministro appellandosi silenziosamente al capo del governo.
I toni furono di sdegnata smentita da parte di Colombo ma né lui né Moro accettarono di rendere pubblica la lettera, essendo di natura privata.
Successivamente molti altri aspetti del programma governativo voluto dai socialisti vanno perdendosi per strada. La crisi di governo arriva da lì a poco. L'occasione è data dall'inserimento, da parte del ministro dell'Istruzione Gui, di una voce riguardante il finanziamento alle scuole private nel bilancio del suo ministero, contrariamente agli accordi di governo. Molti franchi tiratori affondano la proposta, la legge non passa e Moro si dimette.
Nasce il Moro II, che sostanzialmente porta ad un cedimento sostanziale di tutte le richieste di riforma volute dai socialisti, e a scorno completo viene pure votato a favore il provvedimento di finanziamento alla scuola privata. Nel frattempo il Piano Solo si spegne.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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