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I limiti della nozione di interesse ad agire


La norma sull'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) è sempre stata norma oscura, di interpretazione particolarmente difficile e contrastata.
Utile è svolgere un discorso diretto a verificare se e quale sia l'utilità pratica della norma sull'interesse ad agire:
- Innanzitutto l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., se giuridicamente rilevante, non può essere confuso con il diritto (o il contenuto del diritto) sostanziale fatto valere in giudizio.
- L'art. 100 c.p.c. è privo di qualsiasi valore pratico con riferimento all'azione esecutiva.
- Nelle azioni costitutive, cosiddette necessarie, l'art. 100 c.p.c. può avere tutt’al più un significato meramente sistematico, ma nessun valore pratico: in queste ipotesi non potendo l'attore ottenere la modificazione giuridica se non attraverso l'esercizio dell'azione costitutiva, la valutazione relativa all'esistenza dell'interesse è stata già fatta dal legislatore, allorché ha ammesso la singola azione costitutiva.
Nelle azioni costitutive non necessarie non vi è mai spazio per l'interesse ad agire: l'errore, violenza, il dolo, la singola causa di rescissione o di risoluzione sono infatti, tutt’al più, fatti costitutivi del diritto potestativo sostanziale fatto valere in giudizio; così che la loro mancanza determinerà rigetto della domanda per inesistenza del diritto fatto valere, non per difetto di interesse ad agire.
- Nelle azioni di condanna fondate su rapporti obbligatori, non vi è spazio per l'interesse ad agire; infatti l'inadempimento, come l'adempimento, hanno rilevanza unicamente al fine di stabilire se esiste o meno il diritto sostanziale fatto valere in giudizio, non a al fine di stabilire se si sia verificato o meno il fatto costitutivo dell'interesse ad agire.
Nessuno spazio per un'autonoma rilevanza dell'interesse ad agire sussiste anche in ipotesi di azioni di condanna inerenti a diritti reali o assoluti in genere; in tali ipotesi l'esistenza della violazione del dovere generale di astensione non è fatto costitutivo dell'interesse ad agire, ma fatto costitutivo del diritto alla restituzione, alla riduzione in pristino, al risarcimento del danno, alla non reiterazione della violazione.
Uno spazio limitato per l'interesse ad agire potrebbe sussistere nel caso di proposizione della domanda di condanna quando già esista un titolo esecutivo stragiudiziale.
- Con riferimento alle azioni di mero accertamento, la dottrina è concorde nel ritenere che requisito di ammissibilità di tali azioni sia "lo stato di giuridica incertezza, determinato dall'affermazione dell'esistenza o inesistenza di un rapporto giuridico, contrastata dall'opposta affermazione di un altro subietto".
È questo il settore in cui il requisito dell'interesse ad agire destinato a giocare, e gioca, un rilevante ruolo pratico.
In un ordinamento, quale quello italiano, che non contiene una norma che disciplini in via generale l'ammissibilità ed i limiti di ammissibilità dell'azione di mero accertamento, ove questa sia da ammettere al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge, è l'art. 100 c.p.c., col richiedere il requisito dell'interesse ad agire, ad indicare l'esigenza di un limite.
L'art. 100 c.p.c., lungi dal rivelarsi disposizione inutile, rimette alla valutazione del giudice "il vedere se il ricorso agli organi giurisdizionali sia veramente necessario".
- Con riferimento alle azioni cautelari, infine, la dottrina è concorde nel ritenerle subordinate alla sussistenza del periculum in mora, oltre che degli specifici requisiti volta a volta richiesti per le singole azioni: l'unica divergenza è data dal fatto che mentre talune riconducono il periculum in mora nell'ambito dell'art. 100 c.p.c., altri deducono tale requisito solo dalle disposizioni di legge che disciplinano le azioni cautelari.

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