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I rapporti con imprese domiciliate in “paradisi fiscali”


Il Testo unico impedisce la deduzione dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni concluse da un’impresa italiana con una estera localizzata in un “paradiso fiscale”, ossia in un Paese o un territorio ove la tassazione è bassa o nulla.
Questi Paesi e territori sono individuati con un decreto ministeriale (cosiddetta black list).
Al contribuente è comunque data facoltà di dedurre i componenti negativi in questione, se fornisce la prova che “le imprese estere svolgono prevalentemente una attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”.
La disciplina del transfer price si applica solamente nei rapporti infragruppo, mentre la norma “anti-paradisi” si applica ai rapporti con tutte le società che hanno sede in Paesi “a regime fiscale privilegiato”.
Gli effetti della norma “anti-paradisi” sono assoluti, perché consistono nell’indeducibilità dell’intero costo sostenuto; nella disciplina del transfer price, invece, si ha solamente la ripresa a tassazione della parte del ricavo non rilevato tra i componenti positivi o della parte di costo in eccesso stanziato tra i componenti negativi di reddito.
Le ragione della diversità di disciplina sono facilmente intuibili, perché i “paradisi fiscali” si prestano ad essere utilizzati ai fini dell’occultamento di materia imponibile (e non solo ai fini di elusione fiscale).

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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