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I sistemi di finanziamento degli enti locali


Per quanto concerne il sistema di finanziamento, è per certi aspetti simile al sistema di finanziamento delle amministrazioni provinciali e anche regionali, i cicli sono gli stessi: dal 1972 al 1993 abbiamo avuto cicli di finanza prevalentemente derivata e quindi basata sui trasferimenti; dal 1994 al 2010 iniziano i cambiamenti che hanno portato alla situazione esistente; nel 1994 viene introdotta l’ ICI e questo cambia radicalmente l’assetto della finanza comunale.
I riferimenti legislativi sono gli stessi e questo fa capire che tra il 1997 e il 2000 entrano in gioco dei cambiamenti legislativi molto rilevanti che per certi aspetti sono assimilabili a quelli intervenuti con la legge 42; la sola differenza è che la legge 42 nasce coperta dalla riforma costituzionale, questi cambiamenti avevano invece un po’ dei vincoli perché il vecchio 119 soprattutto per le amministrazioni locali e regionali lasciava non poche criticità nell’ambito dell’autonomia tributaria e finanziaria.
Il modello è sempre quello di passare da tributi autonomi a modelli prevalentemente generali ed in questo caso però c’è anche un ruolo crescente delle entrate extratributarie soprattutto di natura tariffaria. Questo soprattutto perché per tutti i servizi cosiddetti di domanda individuale, cioè i servizi tariffati, la legislazione a partire dalla seconda metà degli anni 80 gradualmente mette degli obblighi di copertura minima del costo di questi servizi; cioè si parte dall’ inizio in cui non c’erano obblighi e poi si arriva ad esempio a dire che per gli asili nidi che almeno il 30% dei costi siano coperti dalle tariffe. È chiaro che questo ha portato ad un forte innalzamento della pressione tariffaria delle amministrazioni locali, quindi ad un’applicazione molto più diffusa di quello che noi abbiamo chiamato il principio della controprestazione; cioè si è detto che la quota di finanziamento basato su tariffa doveva crescere perché, anche se a tutti questi servizi si può riconoscere un contenuto di bene pubblico attraverso tutte le sue esternalità oppure un obiettivo redistributivo, resta il fatto che bisognava garantire la copertura del costo della componente che veniva attribuita a livello privato all’utente finale. Quindi questo spiega anche il perché, se noi andiamo a vedere le statistiche sui bilanci locali, il peso dell’extratributario aumenta.
Ecco queste sono pennellate della distribuzione delle competenze delle diverse amministrazioni tra i vari livelli di governo; vedremo poi che c’è il gruppo dei cosiddetti altri enti locali che comprende camere di commercio ed università che in termini finanziari non pesa moltissimo; in termini funzionali pesa di più; non approfondiamo però ad esempio la finanza della camera di commercio è basata anche quella su trasferimenti dello Stato e su entrate autonome di natura prevalentemente extra tributaria; l’ assetto della finanza all’interno della camera di commercio è un tipico assetto di finanza locale.

Il processo è sostanzialmente stato questo:
- articolo 119 della Costituzione,
- legge 42;
- decreti delegati;
- ulteriori norme attuative;
E sostanzialmente questo processo qua ci ha messo più di dieci anni; questo deve fare pensare, anche perché l’attuazione del nuovo 119 arriva solo con la legge 42; si tratta inoltre di un dibattito che coinvolto parecchie commissioni di studio.
Se la legge 42 rispettasse tutte le scadenze, noi potremmo essere a regime con il nuovo sistema nel 2016; già adesso c’è stato uno slittamento dei sei mesi, quindi andremo al 2017; c’è da tenere conto tutte le scadenze dei decreti delegati che devono essere approvati entro la fine di questo mese.
Vediamo alcuni tratti salienti del modello ante 42: per le regioni la norma fondamentale era stata la 133 del 1949 articolo 10. Cosa diceva questa norma? Questi sono i punti salienti, che poi ritroveremo in parte anche nella legge 42.
Primo punto sottolineato: questo è da tenere a mente perché è parte della riforma attuale; dice che i trasferimenti reali alle regioni sono sostituiti da compartecipazione al gettito di tributi erariali; rimangono però in vita alcuni trasferimenti specifici; questo lo si poteva fare perché la legge permetteva di mantenere trasferimenti specifici senza problemi; qui si parla di trasferimenti che finanziano la fiscalità regionale in cui sono prevalenti interessi di carattere nazionale ad esempio gli istituti sanitari di ricerca scientifica erano uno di questi casi che avevano un finanziamento a parte.
Il provvedimento non deve comportare oneri aggiuntivi per lo Stato; vedremo invece come questo discorso degli oneri aggiuntivi c’è sempre, ma adesso c’è una ]]previsione che dice che comunque non devono aumentare gli oneri fiscali per i cittadini; questo lo si dice in termini reali anche quando si attribuiscono nuove funzioni alle amministrazioni locali.
L’attribuzione del gettito delle compartecipazioni alle singole regioni deve avvenire con riferimento agli indicatori delle basi imponibili regionali, quindi già nel 1999 si inserisce il principio della territorialità dell’imposta; si parla di basi imponibili e non di gettito perché molto spesso il gettito riscosso non corrisponde alla provenienza della base imponibile, e quindi non corrisponde alla residenza dei soggetti finali che pagano le imposte. Caso tipico è quello dell’IVA dove gli incassi non sono assolutamente correlati all’imposta di consumo che ricade sul consumatore finale.
La legge ora prevede di attribuire quest’imposta a livello provinciale sul dato del gettito dell’IVA all’ultimo stadio, questo dovrebbe essere rilevato attraverso le dichiarazioni IVA, dopo di che a livello sub provinciale la stessa legge dice che il gettito è ripartito in misura procapite, quindi con un indicatore diretto; arrivare ai consumi a livello comunale sarebbe molto complesso.
La perequazione attuativa del principio di solidarietà deve essere finanziata con la compartecipazione IVA ed eventualmente anche con l’accisa sulle benzine; quindi si scelgono due tributi con una distribuzione della base imponibile che dovrebbe essere un po’ meno sperequata di quella di altre nostre grandi imposte nazionali come ad esempio l’Irpef.
Questo problema dell’IVA nasce sostanzialmente da questo :da un certo punto di vista sappiamo che sarebbe più semplice attribuire il gettito Irpef territorialmente; se andiamo sul sito del ministero delle finanze troviamo i dati della base imponibile Irpef e dei gettiti a livello comunale e questi sono dati tutto sommato accettabili perché corrispondono alla residenza. Per l’IVA a livello comunale è molto più complesso. Perché si sceglie l’IVA? Perché dovendo scegliere un tributo che abbia gettiti il meno possibile distribuiti in maniera sperequata, nel senso che quanto più è perequata la base imponibile, tanti meno problemi avrò io per distribuire i trasferimenti perequativi: ci sarà meno fiscal gap, tornado al discorso che abbiamo fatto l’ultima esercitazione.
L’ultimo punto di questo articolo dieci è importante perché dà la linea per i meccanismi perequativi e qui attenzione ritroviamo quello che abbiamo visto nelle precedenti lezioni: i meccanismi perequativi devono perequare le capacità fiscali; ecco che questo concetto era già intervenuto prima della riforma costituzionale, la riforma costituzionale recepisce. Questa legge fu fatta appunto dopo anni di pressioni e anche la scuola della scienza delle finanze italiana ne ha tenuto conto.
Secondo: si deve consentire il finanziamento dei livelli essenziali dei servizi con particolare riferimento ai servizi sanitari. Cosa ci ritroviamo qua? Ci ritroviamo un principio che poi è stato sancito dalla costituzione ( art. 117) e poi lo troveremo nella legge 42 che ha stabilito questo principio per le regioni con il meccanismo della perequazione completa per i livelli essenziali di servizi; per le province invece non si parla di livelli essenziali bensì vedremo di funzioni fondamentali e non fondamentali; per i comuni e le province si prevede dunque il finanziamento totale delle funzioni fondamentali calcolato a costi standard con un procedimento in parte diverso, ma il principio preme segnalare come non sia molto diverso.
C’è una continuità in questa costruzione del nuovo ordinamento della finanza locale; è interessante vedere le difficoltà che si sono riscontrate nell’applicazione e questa può essere una lezione che ci può aiutare a non fare gli stessi errori che sono stati fatti nell’applicare un provvedimento che, per quello che concerne i principi generali, non è poi così diverso da quello come regolato nella legge 42.
Garantire un’adeguata considerazione della spesa storica: questo è un punto molto di “buon senso”.
Qualcuno avrà sentito dire: Adesso cambia tutto, diminuisce la spesa perché non finanziamo più la spesa storica, ma solo il livello dei servizi a costi standard e chi non c’è la fa problemi suoi, se la vede con i suoi cittadini, lo slogan: vedo, voto, pago…”
In realtà se noi vogliamo garantire una situazione per così dire equilibrata non si può da un giorno all’altro sostituire un finanziamento che faceva riferimento alla spesa storica con uno basato sui costi standard perché un comune ad esempio si vedrebbe ridotte le risorse del 30%. È chiaro che poi lì succede qualcosa e è normale che il comune vada in deficit e poi qualcuno dovrà pagare questo deficit. Allora è meglio come è stato fatto in quasi tutti i Paesi del mondo e cioè di introdurre gradualmente il nuovo sistema con un processo graduale con sostituzione del finanziamento a spesa storica con un finanziamento basato su parametri oggettivi, che sono quei parametri che abbiamo visto quando abbiamo studiato la teoria dei trasferimenti. Quest’altra possibilità di introdurre correttivi, ad esempio un correttivo tipico che è stato usato in Inghilterra è di introdurre trasferimenti comunque sulla base di tetti e di limiti inferiori; non può diminuire o aumentare più di tot all’anno e questo  consente di evitare le situazioni di frontiera che possono creare situazioni ingestibili, oppure altre soluzioni in altri Paesi del mondo. Al prof era capitato di assistere al processo di decentralizzazione dell’Albania; loro avevano costruito un sistema molto semplice di perequazione basato sulla popolazione e sul reddito e poi hanno messo un fondo a parte per risolvere i casi un po’atipici. Questa è un’altra soluzione che però ha lo svantaggio di essere molto intenzionale; tutto questo per dire che quest’ultimo punto (Garantire un’adeguata considerazione della spesa storica) è un punto rilevante; in parte presente anche nella legge 42.
 Questi erano i punti fondamentali. Cosa si fece dopo? Nell’arco di due anni la legge 133 predispose un decreto delegato (n^ 56 del 2000) elaborato sempre dal gruppo di Bordignon, che studiava un meccanismo di insieme che viene definito di fiscalizzazione dei trasferimenti e cioè invece di stanziare ogni anno un trasferimento discrezionale, magari a spicchi, settorializzato, si dava una compartecipazione ad un tributo – in questo caso l’IVA- a fronte di abolizione di trasferimenti.
Gli obiettivi qui erano : maggiore autonomia tributaria e passaggio da un sistema di trasferimenti specifici ad uno di trasferimenti generali: sono gli stessi obiettivi della 42.
Cosa si fece? Si fecero i conti e si valutò che noi avevamo circa 40 miliardi di trasferimenti statali tra cui anche il fondo sanitario nazionale; per sostituirli si aveva bisogno di un totale di  nuove risorse in aggiunta ai tributi regionali che già erano stati introdotti (Irap, accisa benzina, addizionale Irpef, tassa automobilistica). Il decreto 256 del 2000 aumentava le addizionali e le accise assieme all’introduzione di una compartecipazione all’IVA che consentiva con queste nuove risorse di affrontare e coprire l’ammontare dei trasferimenti che venivano soppressi. E sostanzialmente questo è stato un passaggio da trasferimenti generali a risorse in compartecipazione o in sovrapposizione (come l’addizionale Irpef e l’accisa sulla benzina).  Questa è un’esperienza che è sostanzialmente identica rispetto a quella che è in corso attualmente in cui si prevede l’abolizione di tutti i trasferimenti statali a regioni, province e comuni e la sostituzione con una serie di nuove risorse, in particolare di compartecipazioni e tributi erariali. Nel decreto sul federalismo fiscale municipale si passa ad una serie di compartecipazioni a tributi erariali sostanzialmente sugli immobili: la cedolare secca e altri…lo vedremo.
A questo punto avevamo il problema di distribuire la compartecipazione all’IVA che doveva coprire la differenza tra i trasferimenti abrogati e gli aumenti dell’accisa della benzina e la sovraimposta all’Irpef che era dello 0,4 % che sostituiva il fondo sanitario nazionale e gli altri fondi specifici con queste quote. Questa era una situazione che si basava sul finanziamento della spesa storica; è qui che bisogna intervenire se vogliamo ridurre i principi di perequazione; questo vuole dire che l’ultima colonna sull’imposta sul valore aggiunto storica io la dovrò considerare tenendo conto in qualche misura di alcuni criteri perequativi basati su capacità fiscale e su fabbisogni di spesa. Questo è un po’il meccanismo che noi abbiamo. Qual è il punto fondamentale in questa fase? Così come allora avevamo i trasferimenti regionali, così adesso noi abbiamo una serie di devoluzioni di totali tributi e di compartecipazioni ai comuni con l’ultimo decreto sul federalismo fiscale municipali.
Queste quote finiscono in parte in un fondo sperimentale di riequilibrio, in parte vengono attribuite ai comuni insieme alla compartecipazione dell’IVA al 2% ed in più vengono introdotte le imposte di soggiorno e di scopo. Il fondo di riequilibrio fino al 2013 viene ripartito al 30 per cento in base al numero delle residenze e per il 70 per cento secondo modalità che tengono conto dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali dei comuni, con il vincolo di avere un’addizionale al 20 per cento a favore dei comuni che gestiscono in forma associata le funzioni fondamentali.
Importante è la norma che mette in luce il fatto che come nel 1999 oggi, i veri nodi, al di là di tutti i discorsi, sono due: uno è che bisogna avere questi numeri accettati da tutti – avevamo detto che nell’anno zero il calcolo dello squilibrio verticale bisogna farlo bene, sennò ci portiamo avanti conflitti a non finire tra i livelli di governo, perché la riforma funzioni bisogna chiudere e poi non ci devono essere più ripensamenti. Secondo:c’è il problema delle formule della ripartizione dei fondi e questo è il nodo cui ancora oggi la riforma guarda. I decreti hanno fatto questa novità importante, questo cambiamento di compartecipazione dell’imposta innova profondamente ed ha una sua razionalità, però su come distribuire questo fondo di riequilibrio ancora non si sa nulla, al di là di questi vincoli generali che dicono che comunque la popolazione conta.
Cosa è prevedile che nel 2011 succederà? Sostanzialmente il fondo sperimentale di riequilibrio manterrà la situazione esistente, e cioè compenseremo le differenze tra nuove risorse e le spese, si immagina ci sarà una perequazione di tipo orizzontale. Negli anni successivi potremo avere dei cambiamenti; questi sono i punti fondamentali quando si intraprende un discorso di questo tipo.
Sembra complessa, però in realtà è molto più semplice di quello che verrà fuori con il nuovo modello dei fabbisogni standard perché è una formula che in estrema sintesi distribuisce la compartecipazione all’IVA; il primo termine è la popolazione di una regione sulla popolazione totale; quindi se noi avessimo solo il primo termine distribuiremmo l’imposta sul valore aggiunto solo in base alla popolazione. Si corregge questa distribuzione procapite uguale con dei parametri che riequilibrano tenendo conto delle diverse capacità fiscali, dei diversi fabbisogni salutari tendendo conto che le regioni in prevalenza si occupano di sanità, e degli altri fabbisogni in parte legati alle funzioni che sono collegate alla popolazioni secondo una correlazione lineare, anche se di fatto si possono trovare delle curve fatte ad U, sintomo di indivisibilità che nelle regioni più piccole possono portare a delle spese unitarie procapite più alte. Certo, uno potrebbe dire ma perché non aggreghiamo le regioni più piccole, se politicamente non lo si vuole fare si accetta qui questa inefficienza spaziale in maniera trasparente e la si finanza.  È interessante vedere come questa formula, seppur semplice, ha creato numerosi problemi e non è stata di fatto applicata.
Rivediamo gli aspetti più rilaventi del sistema di finanziamento italiano degli enti locali a partire dalle regioni. Regioni, Provincie e Comuni hanno sistemi di finanziamento in parte simili (si basano sulle tre grandi fonti di finanziamento corrente, ovvero entrate tributarie, entrate extratributarie e trasferimenti, cui si aggiungono le due tipologie di entrate  in conto capitale e di indebitamento). Vedremo il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento e capiremo che i cambiamenti non sono così epocali come sembra dai giornali: molte cose c'erano già anche se non applicate completamente.
Vediamo cosa succede per i trasferimenti prima della legge 42; abbiamo cominciato ad esaminare l'articolo 10 della legge '99 → fondamentali per la finanza regionale erano i trasferimenti erariali alle regioni, di cui buona parte erano trasferimenti di tipo settoriale (il dominus di questi trasferimenti era il fondo sanitario che finanziava il servizio sanitario nazionale con le entrate prima dei contributi sanitari poi dell'irap). La logica di questa legge è una logica che sarà recepita poi dalla  legge 42 cioè sostituire i trasferimenti specifici con quelli generali (questo è un indirizzo politico, senza nessuna teoria che giustifichi una prevalenza dei trasferimenti generali su quelli specifici . Abbiamo visto nella teoria dei trasferimenti che rispondono ad obiettivi ed esigenze differenti). Questa scelta a favore dei trasferimenti generali deriva dalla cosiddetta “carta delle autonomie”(un trattato di principi ispiratori dell'ordinamento autonomistico) recepita da moltissimi paesi in tutto il mondo (nell'89 in Italia) e che detta norme molto stringenti per quanto riguarda i principi autonomistici.
Nella legge 42 c'è un concetto ribadito molte vole: il trasferimento di competenza NON deve costare  e si potrebbe aprire una discussione su questo argomento. Poi il gettito delle compartecipazioni deve avvenire con riferimento ad indicatori delle basi imponibili regionali (non quindi con riferimento al gettito). Si presume quindi che la legge detti dei principi di perequazione basati sul principio di capacità (bisogna quindi verificare la capacità fiscale ovvero le entrate potenziali).
Legge 133: il suo obiettivo è di sostituire i riferimenti con nuove entrate autonome e con trasferimenti di tipo generale. La legge cerca nuove imposte non di grande rilevanza quantitativa che erano un aumento dell'addizionale dell'irpef dell'accisa sulla benzina. Comprese queste la riforma portava le entrate e i tributi regionali ad un valore di circa 77 miliardi di lire. A fronte di questo c'era l'abolizione dei trasferimenti (39,7 miliardi di lire) quindi al netto dell'aumento delle imposte occorreva una compartecipazione dell'iva di circa 36 miliardi di lire. Mentre tuttavia su questi anni c'era una disponibilità di dati adeguata, oggi sulla quantificazione soprattutto dei trasferimenti non abbiamo dati ancora precisi → c'è quindi un problema di informazione.
I trasferimenti aboliti erano di circa 40 miliardi di cui una grande quota erano circa 34 miliardi del fondo sanitario che diventa un fondo generale, quindi in teoria non deve essere obbligatoriamente usato per il fondo sanitario stesso. Gli altri trasferimenti erano circa 5 miliardi di lire ovvero trasferimenti settoriali che costituiscono un universo di spesa molto poco visibile. Quindi fino ad ora abbiamo fatto un ragionamento di valutazione dello squilibrio verticale perchè sostanzialmente la compartecipazione iva di circa 36 miliardi di lire è quanto manca per pareggiare la necessità di spesa delle regioni.
Parliamo ora a livello regionale di possibili squilibri orizzontali. Lo squilibrio di 39 miliardi da coprire viene coperto da risorse autonome tributarie.
Per coprire lo squilibrio verticale di cui sopra si è deciso che bastava la differenza (cioè la spesa storica) senza alcun criterio di efficienza né di equità.

Tratto da SCIENZE DELLE FINANZE di Andrea Balla
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