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Il canone di H. Bloom

Il canone di H. Bloom


Si possono esprimere molte riserve sulla impostazione di Bloom, ma la cura che dimostra nel descrivere la letteratura come esperienza forte, con la sua capacità di trascendenza, la sua capacità di portare al di là del presente dando voce al desiderio di essere diversi, di essere altrove, è comunque seduttiva.
Il centro polemico del libro di Bloom sta nella sua scatenata difesa della grande letteratura, capace di spingere l’uomo alla ricerca di realtà alternative, a differenza dei cultural studies che non sanno fare altro se non confermare la realtà, o le realtà, preesistenti e sospettosi proprio dell’alterità che la grande letteratura propone.
Forse Bloom è un po’ troppo partigiano, e dimentica di rappresentare accuratamente le obiezioni dei suoi avversari, ma un critico come lui è fatto così, coi suoi richiami passionali alla forza e alla passione, al rilievo della lettura come esperienza totale e coinvolgente, non come effetto di accordi convenzionali tra comunità interpretative.
Richard Rorty, brillante critico, mette bene in risalto l’importanza di un atteggiamento entusiasta verso la letteratura, che vada al di là del mero orizzonte conoscitivo di ordine scientifico – filologico. Il critico dovrebbe avere un occhio platonico, guardare al passato senza vedervi esclusivamente un ricettacolo di negatività, e con lo spirito di chi pensa che la vita vale più di quanto abbiamo mai immaginato.
La critica odierna, invece, dice Rorty, è così presa dallo smascherare il presente che non ha più tempo per discutere delle leggi necessarie a creare un futuro migliore, e ciò è possibile solo confrontandosi con il passato e salvaguardando la memoria delle sue opere. Un atteggiamento critico così entusiasta, che usa come bandiera la letteratura come strumento di comprensione della vita, che vale più di quanto si immagini, trascende l’idea stessa di canone, ma non nella forma negativa dei cultural studies, ma in quella positiva dell’indagine sul senso delle nostre esperienze (passate, per forza di cose), e le rotture, le continuità, i limiti, le tradizioni ad esse annesse, dove sopravvivono comunque delle colonne, che vanno necessariamente usate come ultimi appigli ai deliri dell’indifferenza mediatica e della virtualità. Non sono le dubbie operazioni tassonomiche dei ministeri, che canonizzano cose di cui non conoscono neppure la natura, a salvare la nostra vita, ma il profondo senso di recupero della memoria e della nostra esistenza attraverso la lettura appassionata di ciò che è stato scritto, della letteratura.

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