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Il concilio di Trento e il dibattito sull'episcopato

Il concilio di Trento e il dibattito sull'episcopato


Il concilio di Trento non ha voluto costituire un’ecclesiologia esplicita; tuttavia una dottrina chiara sul sacramento dell’ordine era più che necessaria, poiché è sicuro che nella negazione del sacerdozio ministeriale a vantaggio assoluto del sacerdozio battesimale vi fu una delle fratture più decisive dei riformatori protestanti, del resto comuni a tutti loro. Nei primi dibattiti, la concezione dell’episcopato era ancora eccessivamente limitata all’aspetto giurisdizionale poiché poneva l’accento sull’autorità di governo; nel secondo periodo si susseguirono i dibattiti sul sacramento dell’ordine, ma allora i teologi posero chiaramente l’accento sull’origine divina dell’episcopato. A Bologna vene esposta la posizione curialista secondo cui l’autorità dei vescovi veniva sì da Dio ma solo in maniera mediata, mentre il papa la conferiva in maniera immediata. Neppure in quel caso il dibattito ebbe seguito ma si sentiva affiorare la posta in gioco dei rapporti fra il papa e i vescovi, che sarebbe apparsa con maggiore evidenza nel terzo periodo di sessioni, al punto da generare una vera e propria crisi conciliare. I fautori di un certo episcopalismo ripresero i dibattiti anche nella terza fase, i quali occuparono buona parte del mese di ottobre. In quella occasione Lainez, generale dei Gesuiti e successore di S. Ignazio, propose di adottare la distinzione fra potere d’ordine e potere di giurisdizione. Entrambi provenienti da Dio per la salvezza delle anime, i due poteri non vengono comunicati nello stesso modo, ma il primo mediante l’ordinazione sacramentale, il secondo tramite una commissione del papa. È possibile in quest’ultimo caso parlare di diritto divino? Per Lainez è necessaria una distinzione supplementare: nel suo complesso, il potere di giurisdizione episcopale è di diritto divino come quello del vescovo di Roma, m non lo è per ogni causa individuale a causa della mediazione del papa. In realtà, successivamente, il dibattito rimbalzò sulla questione della residenza, di cui si trattò all’inizio di novembre. Semplificando, si potrebbe affermare che, se il dovere di residenza dei vescovi nella loro diocesi era di diritto divino, appartenendo allo stato episcopale, anch’esso di diritto divino, nessuno poteva darne la dispensa, come soleva fare il papa. La posta in gioco era dunque considerevole e grazie a questa scappatoia canonica il dibattito proseguiva fra un’ecclesiologia pontificia e un’altra più episcopale. Decisivo fu l’intervento del nuovo legato Morone; la sua idea era quella di utilizzare formule tali da non condannare nessuna opinione e non recare alcun danno all’autorità della Santa Sede. Il capitolo 4 del decreto della
ventitreesima sessione dichiara che i vescovi sono stati costituiti, come dice l’Apostolo, dallo spirito santo perché reggessero la Chiesa di Dio. Veniva dunque addotta la successione apostolica e la discussione rimaneva aperta grazie al verbo reggere, proposto dal cardinale di Lorena, che in qualche modo includeva la giurisdizione nel potere sacramentale. Il canone 8 evocava con discrezione i vescovi scelti dall’autorità del papa senza toccare la definizione del primato pontificio. Quanto alla residenza dei rectores ecclesiarum, il primo canone del decreto di riforma menziona le ragioni della sua imposizione, ne definisce i limiti e la dichiara obbligatoria per tutti, compresi i cardinali. Essa è dichiarata di precetto divino, una formula assai vaga per non provocare le conseguenze volute e temute dai fautori delle ecclesiologie concorrenti. Certamente il concilio di Trento non ha voluto elaborare una presentazione esaustiva della chiesa e si è limitato a confutare gli errori protestanti e a fornire i mezzi di una vera riforma. Sarà quello il compito dei concili Vaticano I e II, che del resto affermeranno la dottrina della sacramentalità dell’episcopato, un’opinione rimasta minoritaria a Trento. La visione tridentina della chiesa sarà rafforzata e amplificata dai teologi del Cinque e Seicento, ma in conformità a una realtà viva che si appoggia agli strumenti e alle strutture a lei fornite dal concilio.

Tratto da LA RIFORMA PROTESTANTE di Alessia Muliere
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