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Il concilio di Trento


Per Carlo V il rinvio di tutta la questione luterana al concilio rispondeva all’esigenza di collegare la riforma della chiesa al sogno dell’impero universale. Per il papato il ricorso al concilio era visto come la definizione solenne di una riforma della disciplina e dei costumi, di una risposta adeguata al dilagare dello scisma protestante. Il primo papa che ebbe la piena consapevolezza della gravità della situazione fu Adriano VI che rese attiva la presenza cattolico-romana alla dieta di Norimberga: qui presentò numerosi progetti di riforma dell’istituzione ecclesiastica che furono poi ripresi durante il concilio di Trento. Il suo successore, Clemente VII (di casa Medici) temeva la convocazione di un concilio per il rischi che potesse essere messa in discussione l’autorità papale. Fu il pontefice Paolo III Farnese che si rese meglio conto della situazione critica vissuta dalla chiesa di Roma. Infatti nel 1530 nella dieta di augusta era stata sancita la divisione religiosa della Germania. Proprio in questi anni Carlo V cercava di rinviare al concilio la definizione delle questioni di fede e di religione. Paolo III lo convocava di continuo fin dal 1536, poi ne 1537, nel 38, nel 42. Ma il concilio si aprì a Trento solo nel 1545 quando al chiesa di Roma era in una crisi profonda. Il concilio si proponeva 3 obbiettivi:
- Recuperare i territori protestanti;
- Arginare l’eresia
- Riaffermare il primato papale in un chiesa cattolica riformata.
Il primo obbiettivo fu realizzato solo in parte, gli altri furono pienamente raggiunti dal concilio di Trento dalla chiesa post-tridentina.

Tratto da LE VIE DELLA MODERNITÀ di Filippo Amelotti
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