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Il conflitto palestinese – Reinhard Schulze


Il conflitto palestinese assunse ben presto il carattere di una lotta simbolica per l’egemonia interaraba. Gli egiziani videro nel conflitto la possibilità di dare nuovo impulso al nazionalismo arabo, ora che avevano perso quasi tutti i loro bastioni a causa di movimenti regionalistici o socialisti. Per dimostrare che l’Egitto era in grado di difendere la sovranità degli arabi, il 18 maggio 1867 Nasser chiese in maniera risolutiva il ritiro delle unità militari delle Nazioni Unite dal Sinai e vi stazionò proprie forze.

Sul piano militare, tra gli Stati arabi non esisteva nessuna forza di coordinamento e nessuno sapeva a cosa avrebbe dovuto dar luogo una guerra contro Israele. Tutt’altra era la lucidità del governo palestinese: nell’arco di sei giorni le forze armate israeliane riuscirono a conquistare la penisola del Sinai e la Giordania occidentale. Con la sconfitta dell’8 giugno, tramontava il sogno di una cultura nazionale panaraba. Nel corso dei primi quattro mesi di occupazione israeliana più di 250000 persone abbandonarono la loro terra natia.

La guerra arabo-israeliana del 1967 può essere considerata l’ultimo atto di un processo nel corso del quale il repubblicanesimo del Terzo Mondo perse la sua posizione di preminenza internazionale. Nel mondo islamico l’opinione pubblica era stata permeata per oltre dieci anni dai diversi movimenti nazionalisti, di matrice spesso socialista, che propagandavano il non-allineamento del Terzo Mondo ed erano alla ricerca di un ordinamento repubblicano ideale. Inoltre, a fronte delle trasformazioni del mercato mondiale provocate dall’impennata della produzione petrolifera, lo sviluppo economico guidato dal settore statale apparve di colpo anacronistico.

Tratto da STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Domenico Valenza
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