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Il contenuto di disvalore del reato: l'offesa


Niente esclude che il contenuto di disvalore del reato (l’offesa) possa attingere il livello della previsione legale del reato senza assumere però il ruolo di elemento portante nell’individuazione del fatto criminoso. Es. art. 594 c.p.
Si potrebbe, cioè, pensare ad una previsione legale in cui, accanto alla fattispecie (alla descrizione del fatto tipico), si aggiunga come ulteriore elemento per l’individuazione del reato proprio il requisito del suo carattere offensivo (del suo contenuto di disvalore). Sarebbe come se la previsione del delitto do furto (art. 624 c.p.) contenesse, oltre la fattispecie di “chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri”, l’indicazione dell’ulteriore requisito “così da produrre un danno patrimoniale rilevante”.
Nella legislazione penale non mancano alcune previsioni così strutturate, ove cioè la descrizione di una fattispecie tipica si aggiunge la previsione espressa del contenuto di disvalore del reato, che ne costituisce la ratio incriminatrice.
Un orientamento teorico molto importante (seguito talvolta anche dalla giurisprudenza) ritiene che sempre, in rapporto cioè ad ogni previsione criminosa, l’offesa (cioè il contenuto di disvalore) costituisca un elemento essenziale ulteriore, naturalmente implicito, che si aggiunge a quelli costitutivi della descrizione della fattispecie tipica.
Le basi legali di tale concezione sono rinvenute per mezzo di una complessa interpretazione dell’art. 49.2 c.p. nella parte in cui condizione l’esistenza del reato al requisito generale della “idoneità dell’azione”, che viene intesa come idoneità alla produzione dell’offesa. => E’ questa la concezione c.d. realistica del reato.
Tale concezione del reato costituisce la massima espressione del principio di offensività ed implica conseguenze rilevanti anche dal p. di vista  pratico e applicativo. Il giudice, per affermare l’esistenza del reato verificando la conformità del fatto storico alla previsione legale, dovrebbe in ogni caso accertare l’esistenza storica, in concreto, non solo di tutti gli elementi della fattispecie, ma anche dell’offesa del reato, la quale verrebbe così a porsi, in pratica, come ulteriore elemento della fattispecie.
Es. per affermare la conformità alla fattispecie del furto (art. 624 c.p.), non basterebbe accertare che ci sia stata sottrazione con impossessamento di qualunque cosa mobile altrui, ma occorrerebbe verificare che la cosa sottratta fosse dotata di valore patrimoniale con conseguente danno subito dal possessore.
A parte le ipotesi di fattispecie ad offesa espressa, in tutti gli altri casi la conformità al tipo del fatto storico comporterà di regola la presenza anche dell’offesa (chi si impossessa di una cosa altrui di regola produce un danno patrimoniale alla vittima).
Indubbiamente la concezione realistica al vantaggio di consentire di risolvere i rari casi di sfasatura in concreto tra tipicità ed offesa (es. furto dell’acino di uva) nel senso dell’esclusione del reato.
L’idea dell’offesa come costante requisito implicito e ulteriore di ogni reato (ex art. 49.2 c.p.) da accertare in concreto da parte del giudice ha suscitato delle obiezioni.
La concezione realistica comporta l’individuazione di un elemento (l’offesa) che non trova espressione nella legge; la previsione legislativa incriminatrice, infatti, si limita alla descrizione della fattispecie tipica. Dunque, tale concezione, non solo spinge il giudice a cercare un elemento costitutivo del reato inespresso al di fuori della legge con tutte le difficoltà conoscitive che ciò comporta, ma pone in forte tensione tra loro il p. di tipicità e il p. di offensività.
Inoltre, le basi legali della concezione realistica sono piuttosto deboli, visto che l’art. 49.2 c.p. non contiene un chiaro e univoco accoglimento di tale concezione.
Tutto ciò spiega come la concezione realistica, pur avendo qualche riconoscimento nella giurisprudenza di merito, non abbia trovato eco presso la Corte di cassazione.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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