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Il critico e la crisi della testualità


È in crisi il testo ma non la nozione di testo. Il critico avverte la crisi della testualità, ma, se accetta questa crisi a livello di manifestazione espressiva, non vuole comunque rinunciare ad essa in funzione di principio-guida metodologico: sul piano del comportamento di analisi, abbandonare il testo viene visto come un gesto carico di degenerazioni relativiste e solipsiste dalle conseguenze irreparabili.
L’industria dell’interpretazione dispone di protocolli per regolarsi perfettamente da sola, è autorità a se stessa; ha tutti i mezzi per segnalare e condannare i casi in cui i testi vengono sopraffatti da lettori irresponsabili: la critica semplicemente non considera critica tutto ciò che eccede i propri protocolli. È ancora in gioco l’assoluta rilevanza delle routines come sistemi di lettura e come insiemi di norme vincolanti. In pratica, al di là delle diversità consistenti tra sottocomunità e sottocomunità, i componenti dell’insieme-critica sanno quasi sempre quali atti interpretativi accettare quali respingere, senza bisogno di conferire potere avvalorante al testo. Il comportamento irresponsabile certo può esistere; esso non si dà come elemento esterno al sistema ma come un elemento interno capace di definire il comportamento responsabile, tanto quanto il comportamento responsabile definisce quello irresponsabile: se un’interpretazione è totalmente inaccettabile, allora non viene considerata nemmeno un’interpretazione.
Porre la dicotomia giudizio-interpretazione in termini troppo vincolanti vuole dire collocarsi ancora in una prospettiva che considera il binomio soggetto-oggetto come il contesto ideale per decidere degli atti interpretativi: da una parte le ragioni dell’Io, le scelte dello spettatore e il rischio delle sue idiosincrasie, dall’altra l’immobilità di un sistema modellato dalle certezze di una metodologia.
In realtà questo binomio è eludibile nel momento in cui si accetta l’idea che l’interprete è comunque sottoposto ad una serie di vincoli dati dalla comunità di appartenenza.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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