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Il culto dei morti degli antichi romani

Il culto dei morti degli antichi romani


Per i Romani, nell’età più antica, la rappresentazione della morte si identificava con Mors, una figura astratta degli indigitamenta, più tardi personificata nella figura di Orcus. Il credere di divinità dell’oltretomba era ristrettamente connesso col ritenere che l’anima sopravvivesse alla morte del corpo. Secondo gli antichi, infatti, quando la vita si spegneva, l’anima usciva liberandosi e discendeva nell’oltretomba, ossia nel regno di Ade; alle anime veniva poi consentito di tornare sul mondo dei viventi. Da tutto ciò scaturiva la necessità di un culto dei morti comprendente una serie di riti e preghiere che accompagnavano i defunti. Secondo il pensiero più antico le anime, liberate dal corpo, si tramutavano in essenze divine, i Manes (Mani), che con la loro presenza rendevano sacro il luogo dove il defunto era sepolto. Gli dei Manes nel periodo arcaico furono intesi sia come forze animistiche, membri spirituali della comunità familiare alla quale erano appartenuti in vita, sia comunità a parte privi di un carattere personale. Quali membri spiritualmente intesi della comunità essi erano sacri: ad essi erano consacrati le sepolture, ad essi erano legate numerose pratiche e credenze religiose celebrate in forme diverse in diverse feste. Nell’ambito della comunità familiare i Manes rappresentavano la comunità dei defunti ed il loro rapporto con i vivi era regolato da tutta una serie di comportamenti rituali. Si riteneva che l’anima del defunto non potesse godere del riposo al quale aveva diritto fino a che il cadavere non fosse stato sepolto, né celebrate le esequie. Al momento del decesso era il pater familias (o il suo successore se era stato lui stesso a morire), ad organizzare il trasporto funebre delle funzioni sacrali necessarie; ovviamente la cerimonia variava a seconda che a morire fosse un uomo della plebe (alla sepoltura seguiva un convito come offerta simbolica del defunto) o un gentilizio (si passava dall’esposizione in casa per più giorni del defunto, alla processione e alla commemorazione nel foro e infine la deposizione nella tomba). Le usanze riguardo le deposizioni variano durante i secoli: a Roma e nel Lazio tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro era assai frequente l’uso della cremazione; verso la metà circa del IX secolo si riscontra il diffondersi del rito inumatorio che coesistendo in un primo momento con quello inceneritorio finirà poi cl soppiantarlo nell’arco di poche decine d’anni. Nel Lazio nei primi decenni del VI secolo a. C. si verifica un cambiamento assai importante nel rituale sepolcrale: termina l’uso di deporre il corredo funerario nelle tombe (che permetteva di distinguere il sesso del defunto e la classe sociale di appartenenza). In base a specifiche leggi presenti nelle 12 tavole, le necropoli sorsero al di fuori le mura delle città, generalmente sulle vie che conducevano in città, ad eccezione delle tombe dei personaggi che avevano dato lustro alla patria. Nei primi secoli dopo Cristo dilagò l’uso delle tombe ipogee, cioè sotterranee, costituite da gallerie sovrapposte, ciò che permise uno sviluppo di botteghe artigiane che producevano sarcofagi su ordinazione o in serie.

Tratto da VITA E COSTUMI DEI ROMANI ANTICHI di Alessia Muliere
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