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Il destino comune come criterio di appartenenza


Rabbie e Horwitz si rifanno al concetto di Lewin sul destino comune o l’interdipendenza di destino, secondo cui il criterio principale di appartenenza è il destino comune.
I risultati del loro studi portarono gli autori a concludere che l'esperienza di un destino comune, positivo o negativo, è la condizione necessaria e sufficiente per osservare favoritismo verso un gruppo di appartenenza; condividere la stessa sorte, positiva o negativa, è condizione sufficiente a determinare discriminazioni a favore dell’ingroup.
Secondo gli autori in membri ingroup, si sentivano più a loro agio ad interagire con i membri del proprio gruppo che avevano ottenuto il loro stesso risultato, piuttosto che con i membri dell'altro gruppo che avevano tenuto risultato opposto.
Nello stesso periodo, Tajfel e colleghi studiano i presupposti base attraverso i quali possono nascere discriminazioni ingroup-outgroup.
Tajfel cerca di chiarire il ruolo giocato dai processi di categorizzazione sociale nei comportamenti intergruppi, elaborando l'ipotesi secondo cui non è necessario chiamare in causa, per spiegare le discriminazioni intergruppi, né i conflitti di interessi oggettivi, né l'interdipendenza del destino ma la sola categorizzazione in gruppi degli attori sociali.
Infatti, nella società è presente sempre una rete di categorizzazione intergruppi, basti pensare alla scuola e alla sua suddivisione in classi, o ancora, alla percezione di gruppi di tipo sociale, etnico, religioso, ecc. e come ciò influenzi la nostra educazione e socializzazione.
Crea o così assieme ai suoi collaboratori, il paradigma sperimentale di gruppi minimi che prevedeva l'eliminazione dalla situazione sperimentale di tutte le variabili che di norma portano a favorire il proprio gruppo e a discriminarne uno esterno. Si preoccuparono quindi di fare in modo che vi fosse:
1. Divisione dei partecipanti in due gruppi su base arbitraria (caso);
2. Assenza di interazioni faccia a faccia;
3. Anonimato di tutti i membri dei gruppi;
4. Assenza di un legame strumentale fra le risposte dei soggetti e il loro interesse personale;
5. Interesse reale dei soggetti verso gli argomenti.
I soggetti vengono classificati casualmente in quattro gruppi in base a due compiti: un test di percezione visiva e uno di gusto artistico.
Il compito sperimentale consisteva nella distribuzione di piccole somme di denaro ad un membro del proprio gruppo e ad un membro del gruppo esterno attraverso matrici, strutturate in modo tale per cui ad una certa somma per il membro del proprio gruppo ne corrispondeva un'altra per i membro dell'outgroup. Il risultati mettevano in evidenza che i soggetti tendevano ad attribuire più denaro ai membri del proprio gruppo.
In un esperimento successivo, le matrici erano strutturate in modo tale da consentire ai ricercatori di individuare la specifica strategia di decisione impiegata dei singoli soggetti. Le strategie possibili erano le seguenti:
- massimo profitto comune: scelta della casella corrispondente alla somma più alta per entrambi i sogg in oggetto;
- massimo profitto per il gruppo di appartenenza;
- massima differenza a favore del gruppo di appartenenza;
- imparzialità.
Tajfel evidenzia che le scelte dei partecipanti riflettono un compromesso fra due norme sociali in conflitto tra loro: una norma di equità che offre a ciascuno dei due gruppi lo stesso trattamento, ed una norma centrata sul primato del proprio gruppo, in base alla quale è appropriato favorire in membri del proprio gruppo a discapito di gruppi esterni.
Concluse inoltre che la categorizzazione sociale di per sé è sufficiente per produrre discriminazioni intergruppi, che provoca negli individui un comportamento intergruppi che discrimina all'altro gruppo e favorisce quello di appartenenza.
Si tratta di un bisogno di affermare la specificità positiva del proprio gruppo a discapito dell'altro.

Tratto da PSICOLOGIA SOCIALE di Manuela Floris
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