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Il gioco con gli oggetti in terapia


Sia nell’uso della metafora che dell’oggetto metaforico, come forse in ogni forma di terapia, possiamo riscontrare degli elementi di gioco. Ogni persona deve passare continuamente attraverso un “gioco” per raggiungere un equilibrio nelle relazioni con la realtà e con coloro con cui vive. Attraverso il gioco sperimenta la realtà in modo paradossale: compie cioè degli atti reali in un contesto che nega però la loro realtà, mentre gli oggetti stessi che egli utilizza acquistano caratteristiche multiformi, perché contemporaneamente “sono e non sono” ciò che stanno a rappresentare.    
Il terapeuta nel corso delle sedute sceglie degli oggetti materiali, tra quelli che gli sembrano più idonei a rappresentare comportamenti, relazioni, interazioni in corso o regole della famiglia in trattamento, essi gli permetteranno di “giocare” con quanto osserva, intendendo per gioco la fantasia creativa che lo stimola a produrre nuovi nessi associativi e a proporli alla famiglia sollecitandola a partecipare a sua volta al “gioco” con i propri nessi.    
Questa alternanza tra concreto e astratto, tra reale e metaforico, permette di introdurre e mantenere nel sistema terapeutico un alto livello di ambivalenza e di dubbio: il “come se” del gioco permette di sostituire la logica del si o no, dell’accordo-disaccordo, con quella assai più complessa e relativa del forse, del prima e del dopo. Introducendo incertezza e probabilità nel sistema terapeutico si mettono in crisi comportamenti e motivazioni scontate, alla ricerca di significati alternativi.    
Tanto più criptico e imprevedibile sarà il comportamento del terapeuta, tanto più la famiglia dovrà sforzarsi di porsi interrogativi nuovi. Se invece il terapeuta sente il bisogno di spiegare, di far capire, allora determina una progressiva passivizzazione del gruppo familiare, che perde la curiosità di ricercare per accontentarsi di una seconda spiegazione, restando troppo ancorata a elementi contestuali.        
Giocare con sé stesso, con le proprie imamgini e le proprie associazioni legate alle emozioni implicite o esplicite della famiglia permette al terapeuta di cambiare continuamente il suo angolo visuale.    
Giocare con l’oggetto può trasformarlo in tante cose diverse se il terapeuta è in grado di apprezzarne le innumerevoli prestazioni: esso può diventare una sorta di coterapeuta, a cui chiedere di entrare nello spazio vitale della famiglia, cosi da permettere al terapeuta di mantenere una posizione di osservatore più “esterno”; in altri casi permette di stabilire un maggior rapporto con la famiglia o  invece per distaccarsi temporaneamente da essa.    
Quando si “prende” un oggetto che appartiene alla famiglia e lo si tramuta in un indicatore relazionale, il coinvolgimento di quest’ultima aumenta nella misura in cui il terapeuta si introduce maggiormente nel suo spazio emotivo. Questa iperinclusione del terapeuta nel sistema terapeutico è volta a stabilire livelli di complicità-joining con questo o quel membro della famiglia per introdurre degli squilibri tensivi, e ha sempre un carattere di temporaneità. Il terapeuta, cosi come riesce a includersi di più nel sistema terapeutico in un dato momento, deve potersi distaccare nel momento successivo.

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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