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Il linguaggio del diritto

IL LINGUAGGIO DEL DIRITTO


Il linguaggio del diritto è particolare, affonda le sue radici nel linguaggio ordinario. Questo perché orienta gli atteggiamenti quotidiani e quindi deve fare in modo che tutti i consociati lo comprendano. 
Dal momento che si fonda sul linguaggio ordinario presenta le caratteristiche (limite) di polisemia, vaghezza e ambiguità.
Non esiste il significato letterale, perché dipende dal contesto in cui viene utilizzata una parola (“caffè” da bere, “caffè” bar). Questo perché ogni termine è polisemico.

Il linguaggio del diritto dovrebbe essere il meno vago, ambiguo e polisemico possibile: per questo motivo il legislatore ricorre alle definizioni stipulative (nei testi normativi degli ultimi 20 anni il legislatore spiega i termini in quel contesto). Una delle idee che hanno avuto più successo di Uberto Scarpelli.
Per es. il codice privacy – trattamento dei dati personali: “interessato” e “titolare dei dati” → il soggetto titolare dei dati è la persona a cui i dati personali vengono affidati, mentre l’interessato è colui che li ha dati. 
Però anche la definizione può essere vaga e ambigua, perché è comunque composta di parole.
Il linguaggio del diritto non è un linguaggio meramente descrittivo, ma è un linguaggio attraverso il quale uno cerca di avere ragione sull’altro.
Il linguaggio giuridico è persuasivo: il fine di un’arringa di un avvocato non è descrivere, ma convincere il giudice che le cose siano avvenute così come le dice lui.
È il tipo di discorso introdotto nell’Atene del V sec. dai sofisti, che mirano ad ottenere il consenso dell’agorà.

Il legislatore e il giudice possono imporre un significato alle parole all’interno del diritto. 
Se però tutti decidessero il significato di ciò che dicono non si potrebbe comunicare, in realtà le parole hanno valenza sociale (se no sarebbe solipsismo); il diritto rompe questa condivisione, perché il linguaggio giuridico è un linguaggio amministrato (definizione di Mario Iori, professore dell’Università Statale di Milano).

Tratto da FILOSOFIA DEL DIRITTO di Francesca Morandi
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