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Il modello di critica cinematografica modernista

Il modello di critica cinematografica modernista



A prima vista ci sono due cose che i critici incontrati nel capitolo precedente condividono:
1) l’idea che la nozione di critica sia legata ad un progetto di cultura modernista oggi inadeguato;
2) la necessita di superare questo modello.
Esista poi a livello meno immediato un altro elemento che sembra collegare gli argomenti presi in considerazione fino ad ora: il fatto che l’atto interpretativo viene spesso definito sulla base di una serie di scopi ideali a cui esso dovrebbe assolvere, in relazione ad un possibile critico. Canova, Pugliese, Bruno ecc. non parlano , o non parlano solo, di cosa realmente fanno quando sono chiamati a ragionare sul cinema o su un film; parlano di cosa dovrebbero-vorrebbero fare in altri contesti e situazioni, di cosa avrebbero potuto fare se fossero vissuti in altri tempi.
La riflessione assume la forma dell’ipotesi: il luogo ipotetico della critica è il luogo di un “dover essere” preventivo o di un “voler essere” programmatico.
L’atteggiamento dell’interprete si declina secondo due varianti principali: il progetto e il rimpianto. Del primo si è già parlato; del secondo bisogna quantomeno dire che si tratta di una delle costanti della letteratura critica in quasi ogni campo di sapere.
La critica in generale non ha mai smesso di essere affascinata dalla sua decadenza, e non stupisce quindi che le riviste specializzate siano costellate di lamentazioni verso un contesto produttivo che sempre più beffardamente pare irridere l’impotenza della critica, la sua inadeguatezza, il suo ruolo assolutamente ancillare; di affermazioni sconsolate su come difendere la cultura in un mondo che non la tiene in considerazione; di rimpianti per periodi di maggiore autonomia valutativa; di reiterate quanto vaghe accuse di corruzione intellettuale.
L’immagine consegnataci dalla critica attraverso questa incessante autolamentazione presenta un rovescio della medaglia che è il ritratto di una istituzione timorosa di perdersi e disgregarsi, e quindi, in definitiva, ancora interessata a tenersi in vita.
Se negli anni ’60 poteva infastidire il concitato clima che vedeva alternarsi sulla ribalta a gran velocità metodologie, stili critici, suggestioni ideologico-militanti in contrasto tra loro, oggi è possibile lamentarsi per la ragione esattamente opposta: l’assenza di un reale contraddittorio, l’apparente immobilità dei discorsi storici e teorici sul cinema.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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