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Il momento volitivo del dolo

Il momento volitivo del dolo


Il momento volitivo del dolo va ricercato oltre la mera rappresentazione del fatto. Occorre distinguere 2 situazioni, a seconda che:

1_ Il soggetto si rappresenti come certa la realizzazione dell’evento accessorio rispetto a quello intenzionalmente perseguito => rappresentazione del dolo come certo: dolo diretto.
Es. il soggetto agente allo scopo di produrre il risultato A non può estendere la sua volontà anche all’evento B, la cui verificazione egli prevede come certamente collegata ad A. dato il rapporto che lega indissolubilmente A e B, è come se egli volesse la produzione del fatto complessivamente unitario A+B.
2_ Il soggetto si rappresenti solamente come probabile o possibile la realizzazione dell’evento accessorio rispetto a quello intenzionalmente perseguito => in tale caso non è facile precisare concettualmente quale sia il reale atteggiamento della volontà rispetto a tale evento. In pratica nello “schema mentale” dell’agente l’evento accessorio compare come oggetto insieme di un certo num. di probabilità positive di verificazione e di un certo num. di probabilità negative di non-verificazione.
Es. la morte del passante investito dall’esplosione dell’ambasciata è prevista dall’attentatore come evento che potrà o meno verificarsi.
Problema da risolvere => Dinnanzi alla rappresentazione della compresenza di probabilità positive e negative di verificazione dell’evento, non è facile accertare se la volontà del soggetto “accetti” oppure no l’evento come conseguenza accessoria del risultato perseguito intenzionalmente.
Nella realtà psichica del soggetto egli accetta indubbiamente il “rischio” di verificazione dell’evento, ma il rischio è costituito dalla compresenza di probabilità positive e negative di verificazione dell’evento.
Soluzione => la dottrina penalistica ha elaborato uno strumento concettuale che consente di verificare quando l’accettazione del rischio, cioè la rappresentazione delle probabilità positive o negative, possa essere considerata come accettazione anche dell’evento e dunque sostanzialmente analoga ed equivalente al dolo diretto.

Ci si chiede se il soggetto avrebbe egualmente agito per realizzare il risultato perseguito (es. l’esplosione) se si fosse rappresentato come certa la realizzazione dell’evento accessorio (es. morte del passante), che in realtà ha invece previsto come solo probabile/possibile:
_ se risposta affermativa => si conclude per la sussistenza del dolo seppure nella particolare e meno intensa forma del dolo eventuale (dolo eventuale = forma autonoma e meno intensa di dolo).
_ se risposta negativa => si conclude per la sussistenza della colpa, sia pure nella forma + grave della colpa con previsione (art. 61 n.3 c.p.).
In sostanza, attraverso la formulazione di un’ip. (previsione dell’evento come certo), si verifica la possibilità di far corrispondere l’atteggiamento psicologico reale (l’accettazione del rischio) a quella del dolo diretto (accettazione del rischio) e dunque di ritenere fondatamente esistente la volontà del fatto.
Attualmente, nel silenzio del legislatore che non definisce né il dolo diretto né quello eventuale, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza sono orientate nel senso di ridurre l’uno e l’altro, insieme al dolo intenzionale, alla categoria generale del dolo, inteso come coscienza e volontà del fatto, quali forme diverse per intensità della volontà.
Il dolo eventuale può sussistere, non solo quando il soggetto preveda come probabile/possibile l’evento del reato, ma anche quando egli agisca nel dubbio sull’esistenza o meno di un altro elemento essenziale del reato: es. Tizio lacera un foglio scritto rappresentandosi la possibilità che si tratti di un documento pubblico. Anche in tale caso il fatto potrà dirsi voluto a titolo di dolo eventuale se si accerta che Tizio avrebbe agito cmq se avesse avuto la certezza di realizzare il fatto tipico.
Anche la contrapposizione tra dolo d’impeto e dolo di proposto esprime una diversa intensità della volizione del soggetto rispetto al fatto tipico. Tale contrapposizione si riferisce alla presenza + o meno efficace di motivi inibitori antagonisti alla spinta a delinquere.
Entrambe le nozioni sono caratterizzate da un dato di natura cronologica, che rileva come indizio esteriore di un interno processo motivazionale diverso.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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