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Il rapporto tra impero e cristianità


Dopo il trionfo della cristianità la concomitanza dei concetti di singolare e di esclusivo fu rafforzata dall'insistenza cristiana sull'unicità sua della verità evangelica sia della Chiesa come fonte di autorità interpretativa. Anche se l'autorità secolare e sacra erano state divise da Gelasio I nel V secolo, l'estensione del cristianesimo rimase assai legata a quello che seguitava ad essere, anche se crollato, l'impero romano. La cristianità era vista come spazialmente coestensiva all'imperium Romanum e l'orbis terrarum diventa l'orbis christianum secondo Leone Magno. Dietro ciò c'era un sottinteso difficile da ricostruire con precisione: se la civitas coincideva con la cristianità, essere civis significa essere cristiano. I pagani e i barbari, come per la civitas, ora rischiavano di essere collocati ai margini della umanità per non professare il cristianesimo. Alberto Magno diceva che erano loro a portare confusione nelle relazioni all'interno della società e distruggevano i principi di giustizia che le reggono. Quindi come prima erano spinti ad entrare a far parte dell'imperium, ora lo erano ad entrare nella congregatio fidelium, lanciando il pericoloso messaggio che tutto ciò che non era cristiano, non era mondo, onde per cui era liberamente conquistabile.
Il monoteismo cristiano contribuì ad accrescere il senso di unicità dei cristiani. Liberi dal peso della nozione di un dio creatore unico, i romani invece non avevano alcuna ragione di confondere osservazione di leggi e osservazioni di credi. Per i nuovi cristiani invece la diversità culturale e religiosa tipica dell'impero pagano non era che un sintomo della povertà spirituale che aveva sempre minato, secondo loro, il concetto romano di virtus, militare e secolare nella sua sostanza.
Se è vero che i cristiani permisero una grande varietà di forme di governo, costumi locali e leggi, perchè la varietas rerum era garantità dall'infinita creatività di Dio, nondimeno tutte le forme di associazione civile dovevano essere rese intelligibili entro un solo sistema di credenze. Un Dio Unico contrastava con una moltitudine di culture e, per esteso, ad una pluralità di Stati all'interno dell'impero. Se il corpo politico aveva una sola testa, avrebbe potuto parimenti avere una sola voce e, cosa più importante, un solo insieme di credenze. Se così era, l'impero doveva essere unico, universale e dal punto di vista cristiano, sacro.
Nel medioevo occidentale l'impero non fece uso del termine sacro fino a Federico I nel 1157 ma è chiaro come nel rimodellamento immaginario della sua storia era stato una sacra continuità da Costantino e ancora prima da Roma. Secondo Baldo degli Ubaldi, giurista del 1300, Cristo aveva offerto all'autorità imperiale un forte sostegno (date a Cesare quel che è di Cesare). Il sostegno, nella fantasiosa ma potente immaginazione politica del papato dell'VII secolo, era passato poi a Costantino che l'aveva passato al papato che l'aveva passato alla linea di successione dei sovrani tedeschi. In realtà gli imperatori germanici erano a tal punto prigionieri delle loro terre da non essere affatto dei sovrani ma dei dogi, primi cittadini di uno stato aristocratico. Ma la storia contava poco e per tutti contava la genealogia storica della pretesa, da parte del papa e dell'imperatore, di detenere l'imperium sulla totalità del mondo cristiano. Gli imperi iniziarono ad essere considerati come gli strumenti che Dio aveva collocato su questa terra affinché gli uomini potessero usarli per i propri fini. E i fini erano quelli già detti dell'estensione della civitas e della cristianitas nel resto del mondo. Perchè se de facto c'erano vari imperatori e vari stati, de iure doveva essercene solo uno ed esso doveva estendere la sua universalitas in tutto l'orbe, scontrandosi poi con la dura realtà di una universalitas mai esistita in questi termini.

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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