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Il riconoscimento della personalità giuridica dell'ente ecclesiastico: il fine di religione o di culto


Il terzo requisito previsto dall’Accordo di Villa Madama per il riconoscimento civile di un ente ecclesiastico è costituito dal c.d. fine di religione o di culto perseguito dallo stesso, la cui individuazione viene precisata dalla l. 222/85.
Tale legge qualifica come aventi senz’altro fine di religione o di culto “gli enti facenti parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi ed i seminari”.
Per tutti gli altri enti, invece, non soccorre la suddetta presunzione ed il fine di religione o di culto deve essere “accertato di volta in volta” in conformità alle disposizioni dettate.
Tali disposizioni stabiliscono che, agli effetti delle leggi civili, si considerano “
attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, alla educazione cristiana;
diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e di beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”.
Circa i criteri applicativi di tale formula non sono mancate le diversità di vedute.
Una parte della dottrina ha ritenuto che il fine di religione o di culto debba essere prevalente e non esclusivo; altri hanno reputato, invece, che detto fine debba essere esclusivo dell’ente e che le attività diverse da quelle di religione o di culto possano essere esercitate, ma senza assurgere al rango di finalità; altri ancora, hanno interpretato la disposizione in esame come un impegno a che il fine di religione o di culto debba comunque mantenere una preminenza qualitativa, debba cioè rappresentare la vera e propria ragion d’essere dell’ente, mentre le attività diverse, sebbene ammesse, non possano tuttavia assumere il valore di finalità.
L’impossibilità di individuare con certezza sulla base delle disposizioni dettate in proposito dall’ordinamento canonico, gli enti appartenenti alla costituzione gerarchica della Chiesa deve indurre a ritenere tale formula una nozione volutamente aperta, tale da consentire un adeguamento automatico dell’impegno pattizio alla struttura organizzativa della Chiesa.
Va ribadito che gli enti ecclesiastici possono svolgere attività diverse da quelle di religione e di culto, che però “sono soggette alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”.
Da ultimo, occorre sottolineare come il fine di religione o di culto sia richiesto anche per il riconoscimento degli enti appartenenti a confessioni che abbiano concluso un intesa con lo Stato, sebbene al riguardo devono essere segnalate alcune particolarità.
L’Intesa Valdese prevede il riconoscimento della personalità giuridica degli enti aventi “congiuntamente fine di culto, istruzione e beneficenza”; l’Intesa Battista degli enti che abbiano fine di culto “solo o congiunto con quello di istruzione o beneficenza”; l’Intesa Luterana degli enti che abbiano fine di culto “solo o congiunto a quelli di istruzione di beneficenza”.
Tale diversità di disciplina, rispetto al regime previsto per il riconoscimento degli enti della Chiesa cattolica, è però attenuato dal fatto che le suddette intese prevedono che le attività di assistenza, beneficenza e istruzione in questione siano comunque soggette al diritto comune.
Anche per questi enti è inoltre prevista la distinzione tra “attività di religione o di culto” e “attività diverse”: mentre l’indicazione delle attività profane coincide con quella di derivazione concordataria, le attività di religione o di culto risultano adatte alle peculiarità proprie delle singole confessioni.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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