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Il ruolo della famiglia nella schizofrenia


I genitori esercitano una rilevante influenza sul modo con cui il bambino impara a decodificare e a riconoscere le proprie esperienze emotive.
Ogni volta che l’esperienza diretta del bambino differisce dalla spiegazione delle sue emozioni fornitagli dai genitori, i pensieri e le emozioni esperite vengono esclusi, e con tutta probabilità verrà presa in considerazione ed ulteriormente elaborata la ridefinizione offerta dei genitori.
Mentre prima dei 6-7 anni la ridefinizione delle emozioni ha effetto immediato sulla definizione del senso di sé e riguarda direttamente l’identità, dopo i 6-7 anni una ridefinizione di questo genere significa per il bambino scoprire di non essere in grado di leggere le sue emozioni e di capirle, e quindi doversi affidare sempre più a contesti esterni per decodificarle.
Quindi, il tipo di difficoltà cognitiva prevedibile sulla base di difficoltà di attribuzione di credenze di 2° ordine sembra comportare, non una impossibilità di riconoscimento dei propri ed altri stati mentali ed emotivi, quanto una instabilità, una difficoltà nel mantenere ciò che si può anche riconoscere, specialmente in situazioni conflittuali.
Questo è il livello metacognitivo che appare deficitario in pazienti psicotici ambulatoriali.
Invece nei pazienti schizofrenici ricoverati studiati da Frith il difetto è anche a livello di competenze di 1° ordine, mentre nei pazienti in remissione l’autore non ha evidenziato una performance metacognitiva alterata.
Le capacità di auto/eteroattribuzione di stati mentali, sia prima dell’esordio che in fase di remissione completa, presenterebbero una vulnerabilità che porterebbe alla performance deficitaria di fronte a vissuti di particolare significato e minaccia per il processo di mantenimento della coerenza-continuità del senso di Sé in corso.
In quest’ottica acquisterebbe ancor più rilevanza una analisi esperienziale, una ricostruzione attenta dei vissuti emotivi, delle situazioni che hanno preceduto l’esordio psicopatologico, con l’obiettivo di lavorare con il paziente in una puntuale ricostruzione dell’interfaccia tra l’esperienza immediata e la spiegazione che il paziente si da della propria esperienza.
La clinica spinge verso un approccio più molare. Spesso una sintomatologia non è semplicemente l’espressione di un deficit molecolare da eliminare, ma è espressione e svolge un ruolo per l’intero organismo.
L’udire voci può essere diventato parte della loro identità e può aver assunto la funzione (disadattiva) di una manovra di sicurezza per evitare esperienze ancora più penose. Tali pazienti sono in genere molto restii a perdere le loro allucinazioni, anche quando ne hanno capito il meccanismo di insorgenza e le condizioni che le mantengono in vita.

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