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Invenzioni e necessità


Anche se la storia dell’uomo è piena di scoperte che ne hanno cambiato la condizione, ci sono anche state molte invenzioni che non hanno riscosso nessun successo (almeno nel momento in cui sono state generate),  e altre che hanno avuto sviluppi imprevisti dai loro stessi inventori (la macchina a vapore di Watt, il fonografo di Edison). Altre invenzioni, invece, nascono dalla curiosità di certi individui: il motore a scoppio a quattro tempi di Otto (che non era una necessità impellente al momento), la ruota (che rimase all’inizio prerogativa dei giocattoli, poiché non c’erano animali adatti al traino, o i caratteri mobili. La necessità quindi sta alla base della diffusione di una scoperta, ma non sempre è lo stimolo per l’inventore, come la tecnologia progredisce accumulando le esperienze di molti, non per atti isolati, e i suoi usi vengono alla luce molto dopo.
La buona diffusione di un’invenzione è spesso più importante dell’invenzione stessa: in molti casi le innovazioni nascono per imitazione o re-invenzione (come per la scrittura). La tecnologia di un popolo è il prodotto di scambi e prestiti con altri gruppi più che il frutto isolato e originale del genio locale; grazie a una precisa collocazione geografica, alcuni popoli hanno potuto ricevere più o meno facilmente le invenzioni di altri, come ad esempio la civiltà islamica, in mezzo tra invenzioni cinesi e indiane e erede della tradizione greca. La sedentarizzazione dovuta all’avvento dell’agricoltura fu decisiva perché rese possibile l’accumulazione di beni non trasportabili e creò classi sociali affrancate dalla produzione, ed è questo il motivo della preminenza storica dell’Eurasia: la tecnologia progredisce più rapidamente in società ricche di risorse, con popolazioni numerose e divise in gruppi in competizione tra di loro, e soprattutto dove è possibile combinare elementi diversi.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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