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Kant e Wolff



Ben presto Kant dichiara la propria insofferenza di fronte al metodo sillogistico di Wolff che pretendeva di costruire tutto l’edificio metafisico solo attraverso la non contraddittorietà da un punto di vista formale, non curandosi quindi dell’esperienza. Ciò va bene per la matematica ma non per la metafisica: questa infatti non si occupa solo di ciò che è logicamente possibile bensì di ciò che è effettivamente esistente. Ed è proprio a proposito dell’esistente che egli non concepisce (come voleva Wolff) che una cosa esista anche solo nel momento in cui viene pensata, ma deve necessariamente avere un riscontro nell’esperienza. Se la filosofia non può procedere per sintesi, dovrà allora procedere per analisi partendo cioè da un concetto dato per poi scomporlo nei suoi elementi in modo da renderlo evidente. Solo una volta conseguita l’evidenza si potrà procedere alla sintesi. Egli ben presto si accorge che anche l’analisi non è sufficiente per risolvere alcuni problemi filosofici: ad esempio il rapporto causa - effetto in cui anche componendo la causa sarà impossibile trovare già in essa l’effetto. Kant intuisce allora che più che sull’analisi, la filosofia al pari della matematica debba basarsi su una nuova sintesi, ossia una sintesi che riguardi specificamente la filosofia. Egli però su cosa debba basarsi una sintesi per la filosofia non sa ancora dire.

Tratto da FILOSOFI DELL'ETÀ MODERNA di Carlo Cilia
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